Silhouette

di Matteo Garrone, Italia, 1996

Esordio di Matteo Garrone, che gli aggiudica il premio Sacher d’Oro nel 1996 e che diverrà poi il primo episodio del primo lungometraggio Terra di mezzo del 1997, il cortometraggio Silhouette si presta a una duplice analisi, quella politica e quella artistica, profondamente importanti in relazione al percorso poi conseguito dal regista italiano.

L’adozione della tecnica del docufilm consente al regista di mostrarci la realtà priva di filtri e artifici cinematografici, aprendoci uno scorcio vivido su contesti urbani scomodi e, pertanto, avvolti nella più totale indifferenza.

La cinepresa a spalla segue da fedele compagna le ore di servizio di un gruppo di prostitute nigeriane, appostate sul ciglio delle strade della periferia romana, e ci svela la loro quotidianità per mezzo di un distacco non privo di scarti ironici.

Discostandosi chiaramente da una riproposizione del Neorealismo e attestando invece una sperimentazione nuova e originale del genere docufiction, Garrone proietta sullo sfondo dell’emarginazione sociale l’assoluto rifiuto di essa da parte dei personaggi (interpretati da attori non professionisti), consegnandoci tutta la loro dignità.

Osserviamo come attraverso i dialoghi e l’alternanza di primi piani e campi lunghi Garrone accosta la sogettività dei personaggi isolati dall’ambiente circostante a un operazione di contestualizzazione storica.

L’intervento del regista nella reinvenzione del realismo si rintraccia in partciolare nell’ultima scena: in essa si staglia contro la luce di un intenso tramonto la silhouette del corpo di due donne, mentre si stanno cambiando a fine lavoro. Essa fa trapelare tutta la loro bellezza spontanea, contrapposta a quella “esibita”per attrarre i clienti. Una bellezza che ci colpisce in tutta la sua placida nettezza, una bellezza che conserva la naturalezza di una giovinezza intoccata.

 

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