Il medioevo pordenonese non si riassume solo nella nascita dello scalo fluviale sul Noncello: esso serba parecchie curiosità, avvenimenti e particolarità che oggi sono per lo più relegate nei libri di storia locale e negli archivi del comune. Consultandoli, molto spesso si viene a conoscenza di un mondo che con i tempi moderni non ha nulla a che vedere. Utilizziamo quindi la stessa macchina del tempo con cui abbiamo avuto modo di assistere alle origini di Pordenone, e spostiamo le lancette dell’orologio a circa due secoli dopo.

Siamo nell’agosto del 1318. Guardandoci intorno vediamo che il paesaggio non è cambiato moltissimo: ci sono ancora grosse foreste ma ogni tanto sbuca una qualche area aperta disboscata, utilizzata probabilmente per le coltivazioni. Però, lungo la strada per le mura, notiamo che qualcosa non va: i campi, che in estate sono pieni di vita, sono completamente spogli: non una coltivazione di grano, non un semplice orto, solo sporadiche erbacce.

Siamo in vista delle mura e del castello. Il sole è alto nel cielo e fa un caldo terribile: ci sarà una temperatura di 35-37 gradi. Decidiamo quindi di fermarci presso una casupola a margine di uno di quei campi deserti, non distante dal fiume, chiedendo ospitalità a un contadino per qualche moneta d’argento. La sua casa, in legno, è fatiscente ma per certi aspetti dignitosa: ha una sola stanza, con un focolare in pietra al centro; in un angolo c’è un grosso letto di paglia ricoperto da un telo bianco, mentre dal lato opposto un tavolo di legno grezzo. Sulla parete dell’ingresso sono appese diverse vanghe e zappe. Nessun servizio igienico, se si doveva andare in bagno due erano le soluzioni: farla nel secchio o direttamente fuori casa, nel campo o nel fiume.

Ci sediamo su uno sgabello e, con il nostro friulano arcaico, chiediamo perché, nonostante la stagione, i campi siano deserti. Il contadino ci risponde che sono ormai 3 anni che non riesce a coltivare niente, complice una grande ondata di maltempo che aveva impedito la crescita del grano. E’ infatti dal 1315 che in Europa non fa che piovere, con temperature che in estate non arrivano mai ai valori stagionali, anzi. Sono questi degli anni durissimi per la popolazione, non solo pordenonese: all’anomalia metereologica aveva corrisposto una vastissima carestia, nota nei libri moderni con Grande carestia del 1315-1317. In un triennio per fame erano morte migliaia di persone, dall’Inghilterra alla Francia, dal Nord Europa all’Italia. Come se non bastasse si erano aggiunte anche malattie come tubercolosi e bronchite e già circolavano delle storie di cannibalismo.

Bevuto un bicchiere d’acqua, ci congediamo dal contadino ringraziandolo e proseguiamo per la città. Seguendo la strada arriviamo a vedere un ponte di legno sul Noncello (in futuro, di Adamo ed Eva)  e oltre un grande bastione in muratura sotto cui si apriva una massiccia porta rinforzata. E’ la Porta Friulana o di Sotto. Ci avviciniamo e chiediamo alle guardie di poter entrare: poiché sono indaffarate nel controllo di un carico di provviste e suppellettili, una di loro ci fa passare senza troppe storie. Superato il controllo ecco qualcosa che non ci si sarebbe aspettato: un secondo ponte, più corto e piccolo, collega il bastione alle mura. Sotto scorre infatti una delle tante rogge che circondano la città a scopo difensivo, in questo caso la roggia dei molini.

Superato l’ingresso ecco ergersi davanti a noi il campanile di San Marco, o meglio, quello che possiamo intendere sarà il campanile: la struttura, ancora in piena costruzione, è circondata da una serie di impalcature in legno dove diversi operai si stanno affaccendando per proseguire i lavori, iniziati ancora nel 1291; ci vorranno 29 anni per vederlo quasi ultimato. Quasi perché il tetto verrà aggiunto solo nel 1600. Ai suoi piedi la concattedrale, anch’essa in costruzione.

Conoscendo la strada, arriviamo fino al Palazzo comunale. Anche questo edificio è in costruzione, ma già si distingue il loggiato e l’ingresso rivolto alla Contrada Maggiore. Facendo un po’ di previsioni, i lavori, iniziati nello stesso anno del campanile, verranno ultimati tra 77 anni. E, come per il campanile, arriverà ad avere l’aspetto attuale solo in seguito, con l’arrivo di Venezia, quando verranno aggiunti i pinnacoli ai lati e la torre dell’orologio al centro. Entrambe le strutture al momento si presentano in gran parte fatte di legno, anche se si distinguono delle parti in muratura. In legno sono pure quasi tutti gli edifici che costeggiano la Contrada. Manca del tutto la pavimentazione.

Curiosamente, attorno alla Loggia, c’è una piccola folla interessata a qualcosa che si sta svolgendo proprio sotto la struttura. Ci facciamo largo tra le persone finché la visuale non si fa più ampia: davanti a un giudice siedono due donne, entrambe parecchio agitate che si guardano l’un l’altra in cagnesco. Chiediamo a una signora vicina a noi cosa stesse succedendo: ci racconta che la notte scorsa una delle due “aveva fatto troppo rumore”, al che l’altra, sua vicina di casa, non riuscendo a dormire, aveva cominciato a inveire pesantemente nei suoi confronti. In breve era scoppiato un battibecco che aveva svegliato tutto il borgo.

A quanto sembra, esiste una legge particolare in questi casi, probabilmente tipica della città, riguardante solo le donne: se due signore, coi loro battibecchi, violavano la tranquillità e il benessere degli altri cittadini, sarebbero dovute comparire davanti al giudice il quale avrebbe obbligato la colpevole, ossia chi aveva iniziato il battibecco per ragioni non valide, a pagare una multa di 6 lire e 10 soldi.

In alternativa, poiché era parecchio denaro, si ricorreva a una punizione particolare: la donna in questione doveva caricare sulle spalle una grossa pietra e portarla dalla Loggia alla Porta Trevigiana (o della Bòssina, demolita agli inizi del ‘900, oggi corrispondente all’ingresso di Piazzetta Cavour da Corso Vittorio), lungo tutta la Contrada. Nel frattempo,  da dietro, veniva pungolata da un banditore che proclamava ad alta voce il motivo della condanna. Alla fine del percorso, la donna doveva pure pagare il lavoro del banditore di tasca sua, con circa 4 soldi buoni. Come si dice: oltre al danno la beffa!

Non ci interessiamo più di tanto. Lasciata la folla, proseguiamo l’esplorazione lungo la Contrada…

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