Con la nostra macchina del tempo lasciamo una Pordenone rasa al suolo dal violento incendio dell’agosto 1318 per spostarci a circa due secoli dopo, nel febbraio del 1514. E’ un periodo, questo, complicato da definire: Venezia, all’apice della sua potenza economica e militare ed in possesso di un vasto impero sul mediterraneo, aveva iniziato un processo di espansione nella terraferma veneta e lombarda, attraverso conquiste militari, acquisizioni e donazioni spontanee. Papa Giulio II, furioso per il rifiuto della città lagunare a restituire le città romagnole, recentemente sottomesse al dominio veneto, aveva istigato le principali potenze europee a dichiarare guerra alla Serenissima, unendole nell’alleanza nota come Lega di Cambrai.

Nel corso di questo conflitto, Venezia aveva così tante volte cambiato alleanze che, nonostante la devastante sconfitta subita ad Agnadello nel 1509, era riuscita a sopravvivere quasi del tutto indenne. Nell’anno in cui ci troviamo, essa aveva cominciato a riprendere i contatti con il Regno di Francia contro il Sacro Romano Impero e lo Stato della Chiesa, allo scopo di cacciare le truppe tedesche presenti nei suoi territori.

Ci troviamo nello stesso luogo che avevamo lasciato nel 1318, con un panorama decisamente cambiato: dalla Loggia del municipio, che avrebbe assunto l’aspetto attuale in pochi anni (è infatti senza la torre centrale dell’orologio e senza i pinnacoli ai lati), possiamo finalmente vedere che la Contrada Maggiore aveva assunto le dimensioni attuali. Certo, molti dei palazzi sono molto diversi, alcuni non riusciamo neanche a riconoscerli ma l’immagine che abbiamo davanti è senza dubbio più familiare. Sopra le nostre teste svetta il Campanile di San Marco, con ai suoi piedi la concattedrale omonima.

C’è un gran trambusto. Qualche giorno fa è arrivata da Venezia una delegazione di dodici alabardieri con una missiva importante: Bartolomeo d’Alviano, già signore di Pordenone dal 1508 per nomina veneziana, aveva intenzione di riprendersi quanto aveva perso negli ultimi anni durante la prigionia in Francia, tra cui il dominio sulla città. Poco distante dalla Loggia, sotto Palazzo Mantica, notiamo un gruppetto di nobili discutere animatamente. Ci avviciniamo e incuriositi proviamo a chiedere quale fosse il motivo di tutto questo trambusto. Uno di loro, il paròn de casa Sebastiano Mantica, ci aggiorna sulla situazione: i dodici alabardieri avevano fatto convocare ieri pomeriggio al Castello l’intera nobiltà pordenonese al fine di ragguagliarla sulle ultime disposizioni di Bartolomeo.

A suo dire, i pordenonesi sono responsabili di incuria: mentre era lontano infatti, la città, fortificata di tutto punto con cannoni fabbricati dalla sua famiglia (cannoni, va detto, che avevano fatto gola a Cesare Borgia), era stata occupata prima dai veneziani, poi per un mese dai tedeschi e infine nuovamente dai veneziani. Questi ultimi avevano sottratto tutta l’artiglieria di difesa. Bartolomeo aveva ammonito che, qualora la Serenissima non avesse restituito il maltolto, a pagare di tasca propria sarebbero stati i pordenonesi.

Si parla di una bella cifra, 4000 ducati d’oro, di cui 2600 sborsati dalle famiglie nobili. Facendo un azzardato paragone economico, guardando al semplice valore del metallo prezioso contenuto nel singolo ducato (un ducato di 24 carati oggi vale a peso d’oro circa 95 euro), si tratta di un pagamento di circa 380.000 euro!  Una cifra non facilmente pagabile per una piccola città quale Pordenone.

Sebastiano prosegue dicendoci che la discussione su cosa fare si era protratta tutta la notte, ma senza che venisse trovata una soluzione alternativa: “d’Alviano ha lo Stato in man”, ci dice. Nessuna via d’uscita quindi, ma alla spesa proprio i Mantica avrebbero contribuito sborsando 1200 ducati di tasca loro (data la loro nomea in città- erano infatti nobili facoltosi- nessuno si sarebbe aspettato diversamente). Dal suo tono notiamo che Bartolomeo e i veneziani non gli stanno troppo simpatici. Dello stesso avviso, se queste erano le premesse, è buona parte della nobiltà. A quanto pare, le simpatie per l’Impero (Sacro Romano Impero, ndr.), dominante la città fino a poco tempo prima, non sono ancora del tutto scomparse.

Ringraziato per le informazioni, ci congediamo dal Mantica. Fare un giro per Pordenone, dopo la passeggiata nel XIV secolo, ci pare fin troppo eccessivo: d’altro canto, al di là degli edifici in muratura e della comparsa di strutture recenti come il Convento di San Francesco, è cambiato poco o niente. Ciò che invece appare diverso è il perimetro esterno. Usciamo a curiosare: fuori le mura notiamo che le rogge sono più ampie e profonde di quando le avevamo lasciate: nei pochi anni di governo che Bartolomeo aveva speso a Pordenone prima di cadere prigioniero, egli, fanatico della difesa, aveva fatto ampliare i canali per renderli più facilmente collegabili al Noncello, oltre che per creare un fossato in grado di respingere gli assalti sulle mura. Oggi queste rogge sono state interrate e il loro ricordo è ancora vivo nel nome di alcune vie, tra cui via dei Molini, vicolo delle Acque e via Fontane.

Stando alla nostra guida storica tascabile, non succederà ancora niente di interessante per almeno un mese. Decidiamo quindi di riprendere la macchina del tempo e spostarci più in là. Impostiamo la data al 29 marzo 1514.

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