Era il 2001 quando i paesi del sud del mondo da una parte, e gli attivisti dei movimenti No Global e Alter-Global dall’altra, decisero di creare un punto d’incontro, per creare un blocco unitario contrapposto allo strapotere delle multinazionali e del sistema finanziario del Primo Mondo. Nasceva il World Social Forum, chiamato così in contrapposizione al World Economic Forum, incontro annuale delle élite economiche occidentali, che si svolse nelle prime edizioni a Porto Alegre, in Brasile, in contemporanea col corrispettivo “ricco” che si svolgeva nella tradizionale sede di Davos, in Svizzera. L’apice di questo movimento si raggiunse nel summit del 2003, al quale intervennero sommi intellettuali ed economisti come Noam Chomsky e il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, e soprattutto ci fu la presenza di uno dei personaggi politici più discussi e decisivi degli ultimi 15 anni: Hugo Chavez (1954-2013), all’epoca presidente del Venezuela. In quell’occasione egli fu intervistato da Gianni Minà, giornalista d’inchiesta tra i più famosi e premiati del mondo, e da sempre esperto di questioni riguardanti l’America Latina; intervista racchiusa in un documentario lungo quasi due ore, che Minà, giunto a Pordenone per presentare un altro suo lavoro al festival “Le voci dell’inchiesta”, ha chiesto personalmente che venisse incluso nel programma. Scelta d’obbligo visti gli sviluppi recenti nel paese sudamericano, dove sembra stia tramontando il sogno del Bolivarismo, come lo definiva il Collonnello stesso, e nel continente in generale, con la visita di Barack Obama a Cuba, la vittoria dei partiti conservatori su quelli bolivariani in Argentina, e le difficoltà economiche del Brasile.
Minà stesso, prima della proiezione, cerca di spiegare perché, nonostante tutto, la figura di Chavez ha cambiato per sempre il destino del Venezuela e del Sudamerica:” prima che Chavez arrivasse al potere, 5 milioni di venezuelani vivevano nelle favelas, nella povertà più assoluta; la sanità pubblica praticamente non esisteva più, e in moltissimi non potevano permettersi le cure; molti bambini non potevano andare a scuola , perché i genitori non erano nemmeno iscritti all’anagrafe da quanto poveri erano. Per 30 anni il Venezuela era rimasto in balia dei due partiti principali, entrambi corrottissimi ed entrambi asserviti all’élite economica del paese e al Washington Consensus, che si spartivano il potere a tavolino escludendo i partiti più radicali dalle elezioni e violando ripetutamente la già di suo debole costituzione del paese. L’economia era tutta sviluppata intorno ai proventi del petrolio, che però era totalmente in mano ai privati, mentre l’industria e l’agricoltura venivano trascurate, e per questi motivi la povertà dilagava tra le masse, mentre i più ricchi facevano la bella vita fra Caracas e Miami. Hugo Chavez venne eletto, nel 1999, per cambiare tutto questo.” Sedici anni dopo, e dopo il passaggio di consegne in punto di morte al suo vice Nicolas Maduro, qual è il bilancio del chavismo? “Ribaltare il Venezuela non era facile, sono stati commessi degli errori ma ci sono stati anche dei grandi successi; la propaganda occidentale dipingeva un paese governato da un regime militare, ma non è mai stato così, anzi oggi il Venezuela ha una costituzione veramente democratica. La situazione economica è migliorata solo in parte, probabilmente non si può dire che stiano tutti bene, ma rispetto a prima sono stati fatti di passi da gigante, sia nella ricostruzione del welfare, che nello sviluppo e rilancio dell’industria, che nella lotta alla povertà. Purtroppo è anche vero che il suo successore non si è rivelato all’altezza dei compiti, e oggi il Venezuela è di nuovo in crisi ( le agenzie di rating lo danno addirittura sulla via del default, nda), ma nulla potrà cancellare le conquiste sociali e politiche dei 14 anni di era Chavez. La sua influenza rimarrà a lungo in tutto il Sudamerica, grazie alle istituzioni di collaborazione commerciale e politica tra i vari paesi da lui create e ancora esistenti, ma soprattutto grazie al suo messaggio politico, un messaggio di riscatto per un continente martoriato dai padroni del mondo per tutto il secolo passato.”
Segue quindi la visione del documentario, con l’intervista, lunga ma mai lenta o annoiante, realizzata da Minà a Caracas nel palazzo presidenziale, alternata a scene in cui si vede il popolo in giubilo per il passaggio del presidente, in occasione della celebrazione della ricorrenza di una delle più importanti battaglie della guerra d’indipendenza del 1814. Chavez racconta la sua infanzia, passata in una famiglia povera in una zona estremamente disagiata del paese; le vicende che lo portarono ad entrare nell’esercito; l’impegno politico già dento le forze armate, la scoperta di Simon De Bolivar e di Ernesto “Che” Guevara, il desiderio di cambiare le sorti del paese i fronte allo sfracello dei governi di coalizione (e spartizione delle poltrone) tra Socialdemocratici e cristiano-sociali, esploso dopo la rivolta del 1989 contro l’asservimento del Venezuela al Fondo Monetario Internazionale e la successiva repressione brutale; il primo golpe fallito nel 1992, gli anni di galera, la fondazione del Partito Socialista Unido De Venezuela (PSUV) e le trionfali elezioni del 1999; i successi del suo governo, dagli accordi presi coi paesi emergenti, all’aver riunito dopo anni tutti i paesi dell’OPEC e aver contribuito a rafforzare l’unione dei paesi produttori di petrolio, al mantenimento dei settori strategici in mano pubblica, alle riforma agraria (“Prima di essa, eravamo uno degli ultimi paesi a prevedere l’esistenza del latifondismo”, dice il Colonnello), alla nuova costituzione confermata con un referendum popolare con oltre il 90% dei voti favorevoli, all’aumento dei fondi per la sanità grazie anche alle maggiori entrate del petrolio a seguito degli accordi già citati (“Nel 1998 la spesa in sanità era il 3% del PIL, oggi è al 7%“), e per l’istruzione (dal 4 al 6 % del PIL) con il risultato di aver portato a scuola 600.000 bambini che non potevano permettersi di frequentarla; i due golpe contro di lui nel 2002 falliti entrambi, il rapporto con gli USA, coi sospetti riguardo ingerenze esterne contro il suo governo, e quello con Cuba e Fidel Castro; per concludere col suo pensiero sulla fede e la religione (” Sono cristiano, nel senso che seguo la parola di Cristo, il primo nella storia a farsi portatore di un’ideologia per i più poveri“).
Un docufilm vecchio di più di un decennio ma ancora attualissimo, necessario per comprendere un personaggio e un ideologia complessi come Hugo Chavez e il Bolivarismo, e per farsi un’idea di quello che è il presente del Sudamerica, e per immaginare anche il suo futuro.
Mi chiamo Giulio Pellis, nato a Pordenone il 3 giugno 1994, mi sono diplomato al liceo classico e oggi studio economia all’ università di Udine. Sono attivo nell‘ambito dell‘attivismo politico a livello regionale, mi piacerebbe molto diventare giornalista e con la scusa del lavoro girare il mondo in lungo e in largo.