Sono tante le curiosità che riguardano la città di Pordenone. Una tra tutte: fino all’arrivo di Napoleone Bonaparte, i pordenonesi non avevano mai conosciuto o visto com’erano fatti i francesi. Certamente nel corso della sua storia la città avrà avuto modo di ospitare un qualche mercante o viaggiatore d’Oltralpe, magari ospite della nobiltà locale, ma non c’era mai stato un rapporto di conoscenza simile a quello che si era avuto, ad esempio, con gli austriaci. L’arrivo dei francesi nel 1797 simboleggiava però la fine della Repubblica di Venezia, padrona della città da oltre 250 anni, e indicava la conclusione di una grande epoca storica. Non passò però molto tempo che anche Pordenone cominciò a sperimentare il cambiamento appena avvenuto, trovandosi coinvolta in uno scenario di guerra quasi costante tra Francia e Austria.

Correva il 13 aprile 1809. Pioveva da molti giorni e il Noncello si era piuttosto ingrossato. Una retroguardia dell’esercito francese, il 35esimo reggimento di fanti, capitanata dal generale Sahuc, era accampata al di fuori delle mura di Pordenone da diverso tempo. Secondo il generale, date le condizioni climatiche, un attacco da parte degli austriaci sarebbe stato piuttosto improbabile, se non impossibile considerando lo stato fangoso del terreno e la piena dei fiumi. Non ritenne quindi opportuno l’invio di alcune sentinelle alle porte della città. La sua sicurezza era tale che non ordinò nemmeno al reparto della cavalleria di pattugliare le sponde del fiume Meduna per poter tenere sotto controllo gli spostamenti dell’esercito nemico.

In piena nottata, mentre il reggimento dormiva, gli austriaci piombarono sull’accampamento. Svegliatisi di soprassalto, i francesi non fecero in tempo a organizzarsi: vennero circondati in uno spiazzo aperto, oggi noto come piazzetta Cavour. Solo una parte, quelli che disponevano di un cavallo, riuscì a fuggire. Il resto del reggimento, più lento nei movimenti, si ritrovò inevitabilmente bloccato. La situazione era critica e non c’era molta scelta: o si tentava lo sfondamento o l’intero reggimento sarebbe stato annientato. I francesi, non pensando minimamente di arrendersi, optarono per la prima possibilità: per resistere il più possibile, dapprima si schierarono in formazione a quadrato, poi, nel tentativo di rompere l’accerchiamento, caricarono con un coraggioso assalto alla baionetta. La mossa inevitabilmente fallì e alla fine i soldati francesi furono sopraffatti. All’alba si contarono le perdite: 500 morti e un qualche centinaio di prigionieri, di cui una buona parte orribilmente ferita.

Tre giorni dopo la bruciante sconfitta subita, i francesi, ormai sfiduciati, affrontarono nuovamente gli austriaci nella battaglia dei Camolli, nella quale il re del Regno napoleonico d’Italia, Eugenio di Beauharnais (figlio dell’imperatrice Giuseppina, la prima moglie di Napoleone) venne sconfitto dall’arciduca Giovanni, in una battaglia casa per casa a Porcia, Roraigrande e Roraipiccolo che le cronache raccontano essere stata tra le più dure del conflitto in queste zone.

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