«[…] vivevo persuaso, come davanti al mare; vivevo immerso nel presente, in quella sospensione del tempo che si verifica quando ci si abbandona al suo scorrere lieve e a ciò che reca la vita […]. In un viaggio vissuto in tal modo i luoghi diventano insieme tappe e dimore del cammino della vita, soste fugaci e radici che inducono a sentirsi a casa nel mondo.»
Claudio Magris, L’infinito viaggiare

Malaga. Questa la nostra prossima tappa. Sono passati cinque giorni dalla partenza, e già ci sembra di viaggiare da sempre. Il tempo non importa più, e non siamo più noi a percorrere lo spazio, ma è lo spazio stesso che ci scivola davanti agli occhi e ci scorre sotto i piedi. Ho questa impressione mentre osservo il paesaggio andaluso dal primo posto davanti nell’autobus. Strada grigia, sole accecante, cielo celeste, e colline a patchwork ocra, nero, rossiccio macchiato di verde oliva. Il colore più vivace è quello dei fiori rosa acceso che separano una carreggiata dall’altra. Abbiamo abbandonato il terribile calore di Siviglia con un certo sollievo, sapendo che a Malaga ci aspettano dodici gradi in meno. E il mare.

Anche a Malaga il tempo e lo spazio sembrano aver fatto qualche strano scherzo. Questa città che può vantare più di 3000 anni di storia è stata la culla di Picasso, e molto prima di lui ha ospitato fenici, romani e arabi, conservando gelosamente il ricordo del loro passaggio. È l’alba, dal nostro ostello costeggiamo il mare fino al porto, per poi virare verso il centro. Attraversiamo il Paseo del parque e ci fermiamo a fare colazione in uno dei numerosi bar di plaza de la Aduana. Da qui già si vede l’entrata dell’Alcazaba di Malaga, la fortezza dei governatori mussulmani, ma le sobrie mura esterne del castello nulla lasciano trapelare della bellezza degli interni. In fondo proprio a questo erano adibite: dovevano nascondere il lusso in cui vivevano i suoi inquilini, per non fomentare inutili gelosie. La fortezza fu costruita tra XI e XIV secolo sopra i resti di una fortezza fenicia, alle falde del monte Gibralfaro, e comunica con il castello di Gibralfaro, situato in cima al monte stesso, attraverso una muraglia. Affrontando vari tornanti, raggiungiamo anche il castello, punto più alto della città. Da qui si può veramente godere della bellezza di Malaga, della sua tipicità di città andalusa costellata di giardini e palme, della vista sul porto e sul mare.

Ma facciamo un passo indietro nel tempo e nello spazio: dopo gli arabi tocca ai romani, e tornando all’Alcazaba, giusto ai suoi piedi troviamo un anfiteatro romano di epoca augustea. Costruito nel I sec. a.C., conservò la sua funzione fino al III sec. d.C. Fu poi abbandonato, e con l’arrivo degli arabi fu parzialmente usato come materiale da costruzione. In seguito alla sua restaurazione, ha ripreso ad essere usato come spazio scenico. Vi si accede tramite un piccolo museo interattivo che raccoglie vari reperti e illustra i vari aspetti del mondo dello spettacolo romano. Proseguendo, si entra nel vero e proprio teatro, e attraverso delle passerelle si possono raggiungere sia gli spalti che il palco. Cerco di immaginarmi come doveva essere assistere a uno spettacolo, o recitare in quel teatro, ma non riesco a evocare un’immagine convincente, sarà per il vuoto, sarà per il silenzio, o semplicemente per l’abisso di tempo che mi separa da quell’epoca remota.

Riprendiamo a passeggiare per Malaga senza una meta precisa, e capitiamo così nei pressi della cattedrale. Curioso è l’appellativo popolare che le è stato attribuito: i malaghegni infatti la chiamano “La Monca” perché, nonostante i lavori di costruzione siano iniziati nel XVI secolo, non fu mai terminata, tanto che le manca la torre sud. Decidiamo poi di dirigerci verso plaza del la Merced, e qui incontriamo Picasso, tranquillamente seduto su una panchina. Nella stessa piazza si trova anche la sua casa natale, ora museo che raccoglie alcune sue opere, mentre nella calle San Agustin si trova il Palazzo di Buenavista, sede del Museo Picasso Malaga. Qui ho l’occasione di ripercorrere tutta la carriera di questo geniale artista attraverso 233 delle sue opere, fra sfide alle convenzioni, cambi di stile, e un’incredibile capacità di giocare con gli stereotipi e la mitologia. Un percorso che attraversa tutte le più importanti tappe dell’artista, dalla formazione classica fino alla maturità, quando imparò finalmente a disegnare «como un niño».

Ma non ci resta molto tempo, e dobbiamo ancora far visita a uno dei popoli che abitarono questa città: i fenici. Per farlo ci basta scendere nei sotterranei del Palazzo di Buenavista, dove si trovano i resti archeologici della Malaga fenicia del VII secolo a.C. Concludiamo così il nostro viaggio nelle diverse epoche e culture di Malaga, passeggiando tra muriccioli in rovina che dovevano essere case, e odore di muffa nell’aria. Saliamo le scale, usciamo dal museo, torniamo al presente e al nostro ostello; abbiamo bisogno di riposo, domani mattina già si riparte. Questa volta la destinazione è Cordova.