Posiamo un per una volta le ali e saliamo in barca, per goderci una gita sospinti dal vento, mentre l’occhio cade inevitabilmente sulle montagne che ci circondano. Siamo nelle conca tolmezzina, tra i comuni di Cavazzo, Trasaghis e Bordano: è qui che migliaia di anni fa si sono raccolte le acque rimaste a testimoniare la presenza di un antico ramo del Tagliamento, formando il lago dei Tre Comuni o lago di Cavazzo, su cui ora stiamo navigando.

Rimasuglio di una distesa d’acqua ben più grande, che inizialmente doveva estendersi fino alla zona oggi occupata dal comune di Ragogna, il lago dei Tre Comuni è il più grande bacino naturale della nostra regione. Originariamente alimentato da una serie di grande polle a livello del fondale, dopo i lavori che negli anni Cinquanta hanno portato alla costruzione della centrale idroelettrica di Somplago i suoi principali immissari  sono i ruscelli, quasi tutti stagionali, della zona circostante e le acque del bacino artificiale dell’Ambiesta, che vengono convogliate attraverso una galleria lunga circa 8,5 chilometri. Particolarità di queste “nuove” acque è la bassa temperatura, attorno ai 10°C, che ha determinato una progressiva riduzione della temperatura e della fauna e flora lacustre, ciononostante rimasta nel tempo assai ricca e varia: nelle acque del lago è infatti praticabile la pesca alla carpa, alla tinca e al cavedano; mentre la sua parte meridionale è occupata da un ampio canneto.

Suggestiva, oltre alla possibilità di una gita in barca o in pedalò, è la strada che copre l’intero perimetro del lago, da percorrere a piedi o in bicicletta per godere appieno della bellezza del panorama. Sulla riva orientale si trova invece l’Ecomuseo, sito di interesse scientifico e divulgativo, con il suo interessante parco botanico. Da segnalare il fatto che soprattutto nella stagione estiva si tengono dei corsi di vela di durata settimanale, aperti ad adulti e bambini.

Lasciando le le rive del lago è consigliabile visitare due luoghi di grande interesse storico: il forte del Monte Festa, a cui però renderemo giustizia in un altro articolo, e la pieve di  Santo Stefano in località Cesclans.

Quest’ultima è una delle undici antiche pievi della Carnia, che alcuni storici fanno risalire ai primi secoli della romanizzazione. Nel corso dei secoli l’edificio ha subito diversi cambiamenti, l’ultimo e più importante alla fine del Settecento che gli ha conferito l’aspetto con cui si presenta oggi, sebbene fortemente ristrutturato dopo gli ingenti  danni riportati durante il sisma del 1976. Dal 1993 al 1996 la pieve è stata oggetto di importanti scavi archeologici, che hanno riportato alla luce una serie di reperti di grande valore, esposti nell’antiquarium sotterraneo aperto al pubblico; oltre che a fugare i dubbi sull’esistenza del leggendario castrum Cabatio, da cui deriverebbe il nome di Cavazzo: i ritrovamenti degli scavi hanno fatto supporre che il castrum  altro non fosse che chiesa stessa, che nei secoli medievali si dotò di una cinta muraria di difesa, divenendo così una chiesa incastellata. Un equivoco assai comprensibile.

Un’ultima curiosità sui dintorni  della zona è il legame tra Cavazzo ed il cavallino rampante simbolo della Ferrari: il motivo? Tutto merito del mitico aviatore Francesco Baracca, che nel bel mezzo della Grande Guerra (per la precisione il 25 novembre 1916), partì in missione dall’aeroporto militare di Santa Caterina di Udine, salvo poi incrociare un velivolo dell’aviazione austro ungarica nei cieli sopra Paluzza e Timau. All’infelice incontro seguì uno spettacolare duello tra le nuvole, vinto dal pilota italiano che  abbatté  l’avversario costringendolo ad atterrare nei prati presso le ultime case di Cavazzo. Per il codice d’onore in uso all’epoca, il vincitore, dopo aver abbattuto in duello cinque aerei avversari, otteneva il titolo di Asso ed era sua prerogativa adottare come simbolo lo stemma del velivolo sconfitto. Il caso volle che l’aviatore battuto fosse originario della città di Stoccarda e avesse adottato come stemma il simbolo della città natia: un cavallo nero.

Nel 1923 l’emblema fu donato dalla contessa Paolina de Biancoli, madre di Francesco Baracca, al giovane Enzo Ferrari, che modificò la coda dell’animale e vi aggiunse uno sfondo giallo, colore della città di Modena, e ne fece il simbolo delle vetture targate Alfa Romeo, salvo poi decidere di mantenerlo anche per la fabbrica di automobili che avrebbe fondato alla fine della Seconda Guerra Mondiale: la Ferrari. Insomma, ogni volta che vedete un’automobile della scuderia di Maranello, ricordatevi che nella sua storia c’è anche un po’ di Friuli.

Lascia un commento