Troppo spesso “Non ci si rende conto di quanto il sapore dipenda dall’olfatto”. Così spiega Anna Menini a scienzartambiente, citando il famoso neurologo e chimico britannico Oliver Sacks, professore di neurologia alla New York University School of Medicine.

La fisiologa, docente presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste, porta in tavola la convinzione secondo cui la percezione dei sapori dipenda esclusivamente dal gusto.
In realtà, quello che viene comunemente chiamato gusto è da intendersi con l’espressione inglese flavor, corrispondente all’italiano sapore, metro di paragone per determinare quanto un piatto sia buono o cattivo. In questo senso è interessante scoprire che l’olfatto è responsabile addirittura per l’80% nella percezione del sapore.
Si provi ad esempio a bere un semplice succo di frutta tappandosi il naso. Sarà facile rendersi conto di come sia difficile in queste condizioni chiarire di quale frutto stiamo gustando le qualità. Questo perché le papille gustative forniscono al nostro cervello informazioni relative al solo gusto in sé, cioè se sia dolce o amaro, aspro o salato, dimostrando come il cervello sia ancora una volta ingannabile, come quando si è di fronte a delle illusioni ottiche.
Partendo da questo piccolo esperimento, la professoressa Menini spiega infatti che le molecole volatili del cibo e delle bevande che abitualmente ingeriamo vengono incanalate verso il cervello grazie alla via retronasale, un condotto che giunge alla corteccia cerebrale attraverso il naso, facendo sì che vengano attivati in questo modo determinati recettori responsabili della percezione dei sapori.

Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che gusto e olfatto siano gli unici sensi coinvolti nel piacere della tavola.
Esistono ricerche e teorie, fra tutte quelle nel neuroscienziato Gordon Shepherd, che chiariscono infatti come il cervello sia il principale responsabile della percezione dei sapori.
Nel libro che ha portato alla ribalta il tema della neurogastronomy, “How the brain creats flavor and why it matters”, viene spiegato come olfatto, gusto, tatto e vista concorrano assieme nell’apprezzamento dei cibi. Così le patatine vengono apprezzate in base a quanto sono croccanti e una semplice insalata per come è presentata.
Infine, non si può non considerare l’importanza della memoria: l’area cerebrale dedicata al ricordo è infatti strettamente connessa con quelle relative ai sensi, creando così un insieme di percezioni di cui è ancora difficile capire il funzionamento, ma che sicuramente rappresenta uno dei temi più interessanti per la neurologia o, perché no, per la neurogastronomia.
Celebre in questo senso il caso di Marcel Proust, nella cui opera “Alla ricerca del tempo perduto” viene raccontato l’episodio in cui dei semplici biscotti imbevuti nel tè suscitarono nello scrittore un tripudio di sapori incredibilmente esaltati dal ricordo della propria infanzia.

Adesso che è giunta l’ora di pranzo e la fame si fa sentire, siamo sicuri che, di fronte a un bel piatto invitante, l’espressione “mangiare con gli occhi” non vi sembrerà più così tanto esagerata.

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