Settembrini alzò la pistola molto in alto e premette il grilletto. […] «Lei ha sparato in aria» disse Naphta dominandosi e abbassando l’arma. «Vigliacco! » gridò, ammettendo così che ci vuol più coraggio a sparare che a farsi sparare addosso: e alzata la pistola in un modo che non aveva più nulla a che fare col conflitto, si sparò alla tempia.

Il duello: romantico per antonomasia. Può un assassinio ergersi al di sopra della legge? Può se la posta è l’onore, vertice dei valori di un uomo: nel nome di un ideale, ogni cosa è permessa. Onore è orgoglio, orgoglio è senso di appartenenza, sentimento maschio e virile, che ha posto le basi per tutti i sanguinosi eventi del secolo breve. Necessità intrinseca del romanticismo, comunque: romanticismo che, tuttavia, in queste poche righe de La montagna incantata, di Thomas Mann (1924), viene letteralmente annichilito. In qualche modo, Leo Naphta ha premuto il grilletto contro l’intera produzione artistica dell’ottocento.

Come è potuto accadere? Il conflitto tra i due personaggi ospiti del sanatorio di Davos è radicato nella loro diametralmente opposta visione del mondo. Lodovico Settembrini è un massone illuminista devoto alla causa della ragione, Leo Naphta un ebreo gesuita portatore di una spiritualità feroce, un romanticismo agonizzante e autolesionista, annientato dal proprio stesso spirito dogmatico. Homo humanus e homo Dei: due personaggi caricaturali che non si combattono nel nome di un ideale, poiché il primo è troppo umanista per la rigidità che un ideale comporta, il secondo troppo infangato dallo strisciare al cospetto di Dio. La fierezza ottocentesca viene aggredita da due fronti, e non può che soccombere.

Un ottimo termine di paragone nella letteratura romantica: il duello tra Montecristo e Morcerf ne Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas padre (1844). Entrambi personaggi positivi fino al parossismo, cristallizzati nel proprio ruolo. Albert de Morcerf sfida Montecristo per riscattare l’onore del padre Fernand, ma gli porge le proprie scuse, correndo il rischio di passare per vile, quando scopre che la vendetta di Montecristo su Fernand ha radici ben più lontane, a lui prima ignote. Il rischio è grande, e infatti chiosa Morcerf: “se sul mio conto qualcuno si sbagliasse, sarà mia cura raddrizzarne le opinioni”. Il duello si fonda sull’onore, e si risolve nel nome di un altro ideale, la comprensione umana. Ciononostante, a ben vedere Montecristo e Morcerf non avrebbero altrimenti esitato ad ammazzarsi a vicenda, pur essendo nei migliori rapporti: di fronte alla pubblica umiliazione, la perdita di un’amicizia è ben poca cosa.

Quasi incredibile, come lo Zeitgeist di un’epoca storica, con le sue intrinseche contraddizioni, si manifesti uniformemente in tutte le espressioni dell’animo umano. Nella produzione musicale del tardo ottocento (Ravel, Mahler, Skrjabin) l’armonia tonale viene lentamente a dissolversi. Sembra un incidente di percorso, qualcosa è andato storto dall’âge d’or di Beethoven? Tutt’altro: la dissoluzione dell’armonia è un percorso scritto nel sentiero intrapreso dal romanticismo. L’irrealtà dei personaggi di Dumas, buoni o cattivi, si proietta verso l’iperrealtà dei personaggi di Mann, caricature espressionistiche di se stessi: decantando la perfezione di un carattere univoco, il mondo incantato del romanzo costringe il lettore a fare i conti con l’imperfezione della propria condizione umana. Il romanzo si serve della menzogna per celebrare la verità.

Alle Menschen werden Brüder (tutti gli uomini si affratellano), recita l’Ode an die Freude di Schiller: parole altisonanti, senso di appartenenza dell’uomo alla specie umana. Ma nel momento in cui egli si accorgerà che prima della specie umana viene una patria, o il proprio onore, il passo verso la distruzione sarà breve.

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