Trieste è sempre stata un “porto sicuro” per coloro che, in balia delle onde e delle imprevedibili correnti dei fenomeni storici, cercavano un luogo dove fosse possibile dar sfogo ai propri talenti, e così poter condurre un’esistenza libera e dignitosa. Questa città ha aperto le sue porte a numerose etnie e popoli provenienti dall’Oriente che hanno contribuito, con le loro peculiarità, a fare di Trieste uno dei simboli d’integrazione e convivenza tra culture e religioni diverse. Tra i protagonisti di questa straordinaria vicenda vi è il popolo itinerante per antonomasia: gli ebrei.

Questo gruppo di uomini, donne e bambini, senza patria, perennemente in fuga da odio e diffidenza, rifiutati da molti e accettati da pochi, trovarono in questa perla che s’affaccia sull’Adriatico quella casa che in molti desideravano per poter prosperare in pace.

La storia degli ebrei triestini ha, però, radici profonde: il primo stanziamento risale al XIV sec. ed era probabilmente composto in prevalenza da ebrei tedeschi. Nei primi tempi, infatti, la migrazione era dovuta non solo all’antisemitismo, ma anche al desiderio di migliorare la propria situazione economica.

Nel 1719 Carlo VI istituì il porto franco: statuto giuridico amministrativo che prevedeva esenzioni da imposte, libertà di commercio e industria, miglioramento delle vie di accesso alle strutture portuali, istituzioni di assicurazioni e il permesso a stranieri di possedere case e terreni. È un cambio epocale; da questo momento in avanti la storia della città giuliana non sarà più la stessa. Il provvedimento voluto dagli Asburgo trasforma una piccola città in un emporio florido, catapultandola verso un periodo fiorente e prospero, che non ha eguali nella storia triestina.

Grazie alla loro esperienza commerciale e alla loro indiscussa e rinomata abilità negli affari, gli ebrei riuscirono presto a trarre grande beneficio dalla situazione peculiare del grande porto. È chiaro, infatti, che Trieste era perfetta per dar risalto allo spirito d’iniziativa, ma non solo: era anche una città dai particolarismi accentuati, dalle molteplici identità, dove la presenza di più etnie e religioni occuparono il ruolo vacante che, nelle altre grandi città commerciali, era delle grandi corporazioni.

Le patenti di Maria Teresa (1771) e l’Editto di tolleranza di Giuseppe II (1781-1785) non solo facilitarono la non semplice integrazione e cooperazione tra etnie e confessioni diversi, ma anche spinsero un numero sempre maggiore di ebrei, provenienti dai luoghi più diversi, a cercare fortuna in quella El Dorado di cui tanto si parlava. Bisogna dire, però, che il rapporto tra la comunità israelitica e la città non fu sempre idilliaco: uno squarcio, in tal senso, è visibile ancora oggi avventurandosi tra le vie e viuzze del ghetto, istituito da Leopoldo I nel 1696.

Rari e sporadici furono gli episodi di antisemitismo, ma questi non arrestarono la straordinaria e profonda integrazione in atto fra Trieste e il popolo ebraico. Agli inizi, il punto di rifermento era rappresentato dalla comunità e dalle famiglie più facoltose, le quali fornivano aiuto agli ultimi arrivati: non è un segreto che alla base del successo di questo popolo ci sia una grande solidarietà economica. La comunità non aveva solo un ruolo di mediazione tra i propri membri e lo stato, ma amministrava anche la giustizia interna e l’istruzione, senza dimenticare l’assistenza ai poveri. Il primo regolamento comunitario è del 1746, e questo rappresenta un’eccezione in un panorama dominato dalla restrizione e dall’intolleranza. Un chiaro segno del successo di questa integrazione è rappresentato da quel fenomeno singolare che furono le scuole ebraiche della comunità: qui venivano impartiti lezioni in italiano ed in tedesco, oltre che alle materie religiose proprie della cultura ebraica. E’ noto, infatti, che gli ebrei a Trieste parlassero la lingua di Dante, mentre mantenevano lo yiddish all’interno delle mura domestiche: altro tratto inconfondibile del desiderio di essere un tutt’uno con la città che li aveva ospitati e, in qualche caso, arricchiti.

Grazie alle loro capacità affaristiche, non sempre visto di buon occhio, gli ebrei riuscirono a incidere in modo rilevante nell’economia di una delle piazze finanziarie più importanti dell’epoca, conquistando così ruoli di prestigio ed importanza in tempi brevissimi, caso unico nell’impero asburgico. Furono grandi protagonisti del fiorente periodo triestino: prima come prestatori di denaro, poi come commercianti, armatori, assicuratori, e infine nelle professioni liberali. Da notare anche che un gran numero di compagnie presenti nella Borsa mercantile di Trieste facevano capo a famiglie ebree.

La maggior parte delle comunità italiane dovrà attendere la metà, circa, del XIX sec. per poter ambire a quell’emancipazione che gli ebrei triestini avevano da tempo: solo nel 1848 si raggiungerà l’uguaglianza civile.

Per concludere non si può non parlare di quell’opera straordinaria che, forse più di tutto, simboleggia la ricchezza, l’influenza, il potere e la voglia di mettersi in mostra, di competere con le altri confessioni presenti in città: la mastodontica Sinagoga. Il nuovo tempio fu inaugurato nel 1912 e richiese uno sforzo finanziario notevole, ma la sua posizione centrale e le sue dimensioni regalano alla città un’opera di singolare bellezza e maestosità.

Guardando affascinati le grigie, alte pareti del tempio, non si può far a meno di pensare come la cultura e le usanze di una minoranza possano impreziosire una città, rendendola ancora più unica e bella.

 

 

 

 

 

 

 

 

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