Paradossalmente, la costante che caratterizza il Friuli Venezia Giulia è la variabile.

Migliaia di differenze, piccole o grandi, sono la nota caratteristica di questa terra, scomposta e ricomposta di piccoli gruppi orgogliosi della loro unicità.

Terra di confine, sottoposta al dominio di molteplici popoli tra loro diversissimi, che nel momento dell’unità statale hanno lasciato dietro di loro un mosaico di piccole tessere, diverse ma armoniche nel loro insieme.

In quanto a unicità tuttavia una menzione speciale va alla Slavia Friulana, Sclavanìe in friulano, Benečija in sloveno. Ci sarebbero altre traduzioni ma paiono sufficienti queste.

La Slavia Friulana è una zona che si estende da Cividale sino a Caporetto, ora in Slovenia, e comprende i Comuni di Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al Natisone, Savogna, Stregna, Lusevera e Taipana.

La particolarità di questa terra è l’idioma, del tutto differente dal friulano, dal veneto, dall’italiano, dal tedesco e persino dallo sloveno, di cui alcuni dicono essere parte. In realtà si tratterebbe di una lingua addirittura paleoslava, risalente all’VIII secolo d.C., che non ha subìto contaminazioni dal mondo slavo, dal quale è rimasta isolata, bensì dalla lingua tedesca e friulana, oltre ad arcaismi del XIX sec d.C.

Questo intricato puzzle ebbe inizio con i primi insediamenti stabili risalenti al neolitico; lungo la “Via dell’Ambra” si stabilirono ariani, veneti e celti carni. Già nel II sec a.C. le valli vennero conquistate dai romani, e Diocleziano qui costruì il Vallum Alpium Iuliaruum, un sistema fortificato del quale facevano parte le Valli del Natisone. Visigoti, Ostrogoti e forse anche l’Impero Romani d’Oriente fecero di questa terra casa loro, prima di cedere il passo ai Longobardi, che elessero Forum Iulii (Cividale) a capitale.

Gli slavi giunsero qui solo nel VII secolo d.C., assimilando la popolazione romanza, e lasciando il culto cristiano, al quale si convertirono anch’essi. Solo qui tuttavia mantennero un’identità propria; nelle altre zone friulane vennero infatti del tutto assimilati sino a scomparire.

Fino al 1420 furono sottomessi al Patriarcato d’Aquileia, sino alla sua conquista da parte della Serenissima, che tuttavia concesse privilegi militari, fiscali, amministrativi e giudiziari.

Le disgrazie per questa terra non finiscono mai: nel 1797 vengono conquistati (indirettamente) dall’Impero Asburgico,  poi da Napoleone, e poco dopo di nuovo dagli Asburgo.

A partire dal 1866 si ebbe un po’ di pace, con l’annessione al Regno d’Italia; si tratta di una pace tuttavia segnata da polemiche intestine tra clericali e anticlericali, (o meglio, filo-regnicoli e filo-papali, una sorta di guelfi vs ghibellini made in Friuli) che emergono a fasi alterne sino ad arrivare a noi.

Con l’avvento del fascismo e poi della guerra fredda le questioni etniche e linguistiche tornarono alla ribalta; col ventennio e la repressione delle identità regionali si provò ad eliminare, senza successo, l’idioma paleoslavo, mentre con il dualismo capitalismo-comunismo la battaglia venne spostata sul piano etnico: in molti venivano additati come comunisti e filo-comunisti solo perchè slavi, anche se la maggioranza si considerava italiana.

A dispetto di del viavai di popoli che si avvicendarono in queste terre, questa popolazione ha mantenuto naturalmente e senza rivendicazioni violente una propria identità e autonomia, divenendo un fiore all’occhiello del mosaico friulano.

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