Tocca pure questo: studiare il teatro di Ibsen. Non che la cosa mi dispiaccia ma sicuramente si potrebbe approfondire altri grandi autori teatrali, che ne so George Bernard Shaw, Bertolt Brecht o Samuel Beckett; insomma quegli autori talmente mainstream che più vengono rappresentati, meno vengono compresi, paralizzando così l’industria dell’arte teatrale divenendo ancora più  incomprensibile e quindi sempre più di nicchia, facendomi disperare e detestare questa logica perversa del mercato culturale.

Pensando a questo, a quanto detesto il mercimonio del teatro attuale, passo la mia giornata in Piazza Unità a bere vino, alternando i libri di Ibsen con l’unico romanzo dell’autore triestino Scipio Slataper Il Mio Carso provando a ricordarmi le immagini che le rocce carsiche mi hanno dato, provando a immaginarmelo assieme a Giani Stuparich, nei caffè storici di questa piazza che si dà all’Audace. Il silenzio del clima marittimo e le risate distratte delle coppiette di studenti mi fanno veramente venire voglia di conoscerlo ancora di più (più che altro per non stare ancora più male nel vedere miei coetanei con le loro morosette); questo fantomatico scrittore-barra-eroe-di-guerra, sorseggiando del buon vino rosso con i miei amici muli trovati al caffè.

Questi miei amici triestini rimangono sorpresi nel vedere un giovane-vecchio ubriacone da osteria leggere Slataper e iniziano a parlarmi, bevendo, della vita dell’autore triestino.

Era nato a Trieste nel 1888 ma da famiglia italo-boema borghese e mitteleuropea, si mise a studiare lettere a Firenze e durante i suoi studi accademici entra in contatto con i vociani di Giuseppe Prezzolini con cui iniziò a collaborare pubblicando numerosi articoli raccolte poi nel 1909 con il titolo di Lettere Triestine. Slataper analizzò la situazione culturale della sua Trieste che a lui pareva provinciale e accusava la borghesia cittadina di essersi collusa con la politica asburgica perdendo così la propria italianità. Tale critica venne ovviamente percepita come un grande schiaffo all’intellighenzia triestina che iniziò a trattarlo come un traditore e quindi a infamarlo.

Nel 1912 la libreria della Voce di Prezzolini pubblica Il Mio Carso: un’autobiografia spirituale di tono lirico che attesta il cammino compiuto del nostro dall’esaltazione dell’io alla crisi provocata in lui dal dolore per il suicidio della sua amata, Anna Pulitzer, che lo avrebbe poi mosso ad intuire la necessità di una legge morale più profonda per la sua vita.

Nello stesso anno scrisse anche la sua tesi di laurea, poi rimaneggiata e pubblicata postuma nel 1916. Il suo studio si configura come un’analisi di tutto il percorso esistenziale dello scrittore norvegese. Pur essendosi riferito a tanti critici austro-ungarici, Scipio riesce a proporre tesi originali e innovative rendendo il suo studio una tappa fondamentale per chi, come nel mio caso, vorrebbe occuparsi di Ibsen.

Quando nel 1913 tornò nella sua città natale, sposò Gigetta Carniel che gli diede un figlio, anch’egli chiamato Scipio e che risulterà disperso in guerra, in Russia nel 1943.

Tra gli altri romanzi, ricordiamo Alle tre amiche, che nelle intenzioni di Scipio sarebbe dovuto essere la bozza per un nuovo romanzo che avrebbe scritto una volta sopravvissuto alla ‘guerra-lampo’ del 1915.

Da intellettuale appassionato della libertà e soprattutto da triestino, si avvicinò alle tesi irredentiste e quando nel 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria, fu uno dei primi ad arruolarsi come volontario morendo sul fronte sul monte Podgora e per tale sacrificio gli venne riconosciuta la medaglia d’argento al valor militare alla memoria.

Eccolo qui, la maggior parte delle informazione che quei muli mi hanno dato mi erano in parte note. Certo, avrebbe potuto essere parte di quella cerchia dei triestini degli anni ’20 e chissà come avrebbe accolto quell’irlandese psicomaniaco di un Joyce. Chissà. Chiudo la conversazione andandomene da quel caffè; camminando per la piazza apro una pagina a caso de I Pilastri della Società di Henrik Ibsen e leggo: <<Gli spiriti della Verità e della Libertà sono i pilastri della società.>> (atto IV, battuta di Lana Hessel). Ed è magari quello di cui abbiamo bisogno: ritrovare quegli spiriti, in questa decadente, decaduta civiltà occidentale corrotta e piegata su se stessa.

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