Un secolo dopo che Venezia aveva conquistato la Patria del Friuli, i privilegi esercitati dal clero e dalla nobiltà avevano fatto aumentare il malcontento popolare. Venezia, infatti, la trattava come una terra di nessuno dove fare sfogare le truppe imperiali e turche che passavano in quelle terre.

Questo isolamento della regione, sul piano culturale, sociale economico e anche linguistico ha impedito ogni forma evoluta di un governo popolare che le comunità agricole chiedevano sempre più spesso portando all’esasperazione i rapporti di fiducia reciproca contadino/signore, a cui l’economia friulana era sottoposta da secoli, che ora erano diventati precari per il solo fatto che la nobiltà cercava di mantenere il proprio stato sociale sfruttando i pochi diritti rimasti e i servigi dovuti dai contadini.

I primi scontri iniziarono nel 1509 quando, nell’attuale frazione  di Sterpo nel comune di Bertiolo , una folla di contadini armati prese il possesso del castello, cacciò gli abitanti e lo diede alle fiamme. Era l’ultimo atto di uno scontro che si trascinava da tempo da parte degli abitanti di Virco, Flambro e Sivigliano contro i nobili Colloredo, accusati di usurpare i pascoli e i boschi della comunità per il proprio tornaconto. Queste rivolte provocarono altre rivolte contro i nobili, i loro bravi, i loro famigli o rappresentanti e colpirono le famiglie risiedenti nei castelli di Colloredo e di Tarcento.

La famiglia che aveva più influenza nelle terre friulane, la Savorgnan, cavalcò il malcontento inasprendo il conflitto sociale, cercando di approfittare della situazione traendone vantaggi. In quanto famiglia nobile, aveva ben consolidato il suo sistema di clientele che li legava direttamente alla popolazione udinese ed era riuscita a creare una vera e propria fazione, i cui appartenenti presero il nome di zamberlani (çambarlans). Questi avevano come leader la figura carismatica di Antonio Savorgnan, talmente filo-veneziano da diventare comandante generale delle cernide, milizie armate contadine. Ai Savorgnan si opponeva la famiglia Della Torre, che guidava il partito degli strumieri (strumîrs), in posizione anti-veneziana e  filo-imperiale.

Il giovedì grasso del 1511, Savorgnan inscenò un attacco imperiale a Udine chiamando a raccolta la popolazione per la difesa della città. In mezzo al caos creato dal mancato attacco, i seguaci dei Savorgnan aizzarono la popolazione  al saccheggio delle dimore cittadine dei Della Torre cui seguirono, quella di tutta la nobiltà udinese, eccezion fatta per le loro.

Molti membri delle famiglie Della Torre, Colloredo, Della Frattina, Soldonieri, Gorgo, Bertolini furono trucidati. I loro cadaveri furono spogliati e abbandonati per le vie del centro, se non lasciati come pasto ai cani o trascinati nel fango e gettati nei cimiteri. I rivoltosi vestirono poi gli abiti dei nobili inscenando una grottesca mascherata imitando i modi dei possessori originari incarnando lo spirito carnevalesco delle inversioni delle parti. Si era così compiuto il piano di Antonio Savorgnan che, rimasto estraneo alle sommosse, aveva eliminato gran parte suoi avversari politici. Solo dopo alcuni giorni un contingente armato proveniente da Gradisca riuscì a riportare l’ordine in città ma non a interrompere la carnevalata e lo scherno nei confronti dei nobili uccisi.

Intanto, sulla scia di queste violenze, si diffonde a macchia d’olio ai territori limitrofi di Udine e pian piano in tutta la regione. Gli abitanti dei villaggi, armati come per andare in battaglia assediarono i castelli abitati dalla nobiltà. La popolazione, guidata dai giochi dei Savorgnan, distrusse tutti i castelli di Zucco, Cergneu, Tarcento, Colloredo, Caporiaccio, Pers, Mels, Brazzacco, Moruzzo, Fagagna, Villalta, e Arcano e saccheggiarono le dimore nobiliari di Tolmezzo, Venzone, Tricesimo.

Tutto quello che è stato calcolato dai Savorgnan fruttò ma non alla fine anche perché i loro stessi domini di Buia e Pinzano furono messi d’assalto e gli strumieri  riuscirono a riorganizzarsi presso il castello di Giulio di Porcia. Lo scontro tra le due fazioni così divenne decisivo sul Cellina, dove la cavalleria e il miglior equipaggiamento degli strumieri ebbero ragione causando la rottura dei zamberlani non più sicuri dell’appoggio veneziano.

Il governo della Repubblica istituì un tribunale speciale che condannó a morte i maggiori esponenti della rivolta senza però colpire direttamente Antonio Savorgnan il quale decise di riparare tra le file imperiali a Villach, compiendo un volta faccia che però non gli salvò la vita. Gli strumieri organizzarono una congiura per assassinarlo il 27 marzo 1512 e in seguito, la Serenissima confiscò tutti i suoi beni e nel 1549 distrusse il palazzo Savorgnan di Udine lasciando i ruderi come monito in quella che poi venne poi chiamata place de ruvine (attuale piazza Venerio).

La morte di Savorgnan non pose purtroppo termine all’insieme di vendette e ritorsioni innescati dai fatti del giovedì grasso che avevano ormai perduto la dimensione collettiva della rivolta ma acquistato il carattere della faida e del regolamento di conti personale. Pare che l’ultimo duello si verificò tra un nobile d’Arcano e un nobile Savorgnan nel 1567, ben 55 anni dopo la morte del mandante delle rivolte che però non servirono a molto: i contadini tornarono a lavorare nelle stesse condizioni di prima e il governo di Venezia decise di prevenire possibili nuove rivolte venendo incontro alle richieste degli zamberlani istituendo un organismo della Contadinanza composto dai rappresentanti eletti dai contadini stessi.

Immagine: Antonio Savorgnan con le sue cernide all’esterno di Udine il 27 febbraio 1511 (disegno del XVIII secolo)

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