Assedio di Leningrado: un milione di morti, di cui settecentomila civili. Tre anni di assedio nazista, fame, leggende di episodi di cannibalismo,  il pane preparato con la polvere grattata dai muri delle case. In una Leningrado di cinque milioni di abitanti, la grande città del nord, vive una famiglia, stipata in una stanza di dodici metri quadrati di una kommunalka statale, senza cibo, senza risorse di alcun genere. Dopo la guerra, il 7 ottobre 1952, nasce in questa famiglia Vladimir Putin.

Molti dei leader vecchio stampo, compresi vari protagonisti della Prima Repubblica in Italia, possono vantare un percorso verticale attraverso le gerarchie del potere, il mito dei “self made men”. Putin è uno di questi. Dalla kommunalka arriverà al KGB e alla politica: vice-sindaco di Leningrado sotto Anatolj Sobčak, direttore dell’FSB (erede del KGB sovietico) e infine primo ministro della Federazione Russa, per il primo mandato nel 1999 dopo la nomina da parte del leader uscente Boris El’cin.

Gennaro Sangiuliano, storico, giornalista e vice-direttore del TG1, cerca nel suo libro “Putin. Storia di uno zar” di delineare la fisionomia politica di un uomo considerato un dittatore da buona parte della comunità internazionale; l’ascesa al potere e il suo mantenimento, le decisioni politiche, le violazioni dei diritti umani, il pugno di ferro. Putin è un maestro di realpolitik: un uomo senza scrupoli, che sceglie una strategia e la porta all’estremo. Accusato di omicidi famosi, l’ex colonnello del KGB Aleksandr Litvinenko, la giornalista Anna Politkovskaja, la crisi del teatro Dubrovka nell’ottobre 2002, le guerre in Cecenia e in Ucraina, la recente partecipazione a sostegno del governo di Bashar Al-Assad in Siria.

Più ci si addentra nella questione più è chiara la necessità di abbandonare la tendenza di “omologazione totalizzante” propria del modus vivendi occidentale: la democrazia liberale è un sistema universale, l’unico modo del mondo di abolire i soprusi e l’ingiustizia. Gennaro Sangiuliano ci dimostra che ciò è profondamente falso. Come può una società come quella russa, passata attraverso secoli di assolutismo zarista, di servitù della gleba, e investita dalla tragedia del comunismo, delle torture del KGB nel palazzo della Lubjanka, come può una società del genere credere nella possibilità di una democrazia all’occidentale, allo stato attuale delle cose?

Secondo Sangiuliano, Putin è il massimo del progresso che la Russia odierna si può permettere. Negli anni successivi al crollo dell’Unione Sovietica la nazione è allo sbando: una terra desolata, a Mosca e Pietroburgo si contano i morti per strada; guerre di mafia e ascese di oligarchi e magnati del petrolio, tra gli uomini più ricchi del mondo; Boris El’cin, il leader alcolizzato che si trova a sopportare il macigno dell’ingenuità di Gorbačëv, ad amministrare una società dove tutto è permesso, dove vige la legge del più forte. Ed è in questa desolazione che Putin ristabilisce l’ordine, autoritario ma statale, centralizzato, ristabilisce il potere dello Stato ingannando gli oligarchi che credevano di poterlo controllare.

Questa è la lezione di Sangiuliano: è necessario avere l’onestà intellettuale di ammettere che Putin è un uomo controverso, a tratti un uomo orribile, spietato, ma mai mediocre.