Il professore e filosofo italiano Carlo Sini, oggi a Pordenonelegge, propone una riflessione sull’arte del vivere bene, strettamente collegata con l’arte della lettura e della scrittura.

L’incontro inizia subito ponendo al centro la metafora dell’anima di carta che ognuno di noi possiede, la quale, senza la cultura del libro, perde il suo potenziale. Sini ci invita a esserne consapevoli, spronandoci a essere padroni di questa carta e a non esserne schiavi, come spesso succede in quella battaglia di idee che tutti noi idolatriamo, ma che in realtà «è solo superstizione».

Ma come si costituisce, come si nutre, come ci si prende cura di questa anima di carta?
La risposta a questa domanda non è altri che la primissima lezione che la filosofia ci deve insegnare: «non si tratta di militare, ma di capire».
L’elemento fondamentale per nutrire la nostra anima di carta è comprendere il contesto delle informazioni che ci vengono date, capirne l’origine, interrogarci sempre.

Un’analisi della nascita del libro e dell’editoria è ciò che questo filosofo ci propone per sviscerare al meglio la questione. Senza l’esistenza di Gutenberg e soprattutto dell’editoria Veneziana, non esisterebbe il libro come noi lo conosciamo e soprattutto non esisterebbe la lingua italiana. Attraverso un excursus storico, Carlo Sini ci porta a riflettere su quanto sia stato fondamentale il contributo di Pietro Bembo, Aldo Manuzio, oltre che dei grandi scrittori italiani che da sempre hanno cercato di istituire e normalizzare la lingua italiana.

Fare dunque un passo indietro ci può aiutare a comprendere appieno quella svolta radicale nella storia che ha condotto alla democratizzazione della cultura: la nascita della scrittura alfabetica. Questa invenzione trasforma drasticamente il modo di pensare e concepire i gesti sonori della parlata, codificandoli in un sistema analitico puntuale che porta a un radicale cambiamento nel modo di organizzare i pensieri.
Comprendere la potenza di questo mezzo è fonte di grande riflessione per il filosofo bolognese. Riflessione che porta inevitabilmente a meditare sul malfunzionamento della scuola di oggi. Il metodo di apprendimento viene attuato in forma distorta, imponendo un accumulo di informazioni e non un accumulo di “perché”. «Non basta lo specialismo, bisogna essere capaci di ricostruire il contesto» consiglia.

Attraverso i secoli, l’apprendimento ha assunto metodi diversi: dall’uso mnemonico dei monaci – che «come mucche rimuginavano tutti i giorni i versetti che imparavano dalla Bibbia» – al libro, con la nascita di una cultura personale, nostra.
Inoltre, l’evoluzione del mezzo di trasmissione della cultura provoca un cambiamento delle nostre anime: se in passato era l’udito e la memoria, con la nascita dell’editoria è passato alla scrittura e alla carta, mentre oggi, con l’avvento delle tecnologie e dei supporti informatici, sta avvenendo un altro capovolgimento radicale e, secondo il filosofo, rischioso.

Se prima la «serpe del nonsenso» – che Sini definisce come la pigrizia che infetta la nostra mente – minacciava solo il metodo di apprendimento, ora la vulnerabilità è data anche dal cambiamento del mezzo, non più materiale e concreto ma piccolo grande magazzino di informazioni confezionate.
Il filosofo italiano paragona Aldo Manuzio a Steve Jobs: entrambi hanno infatti costruito oggetti della cultura, modellando di conseguenza l’anima di chi pensa, legge, scrive.

Sini ribadisce ancora una volta quanto sia fondamentale educare la nostra mente a pensare, tenendola sempre accesa come un faro che ci aiuta ad attraversare il buio dell’ignoranza.
L’incontro si conclude proprio con questo invito: non basta capire il “cosa”, ma bisogna capire il “come” e il “perché” per imparare a pensare bene. Perché, «per vivere bene, bisogna pensare bene».

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