Sabato 17 settembre, ore 20.30: Francesco De Gregori, cappello a Lobbia nero, giacca, pantaloni grigio chiaro e scarpe bianche calca il palcoscenico di un Teatro Verdi sold out. Il cantante, che prega di non essere chiamato cantautore (“preferisco che uno mi dica che sono bravo a cantare piuttosto che sentirmi dire che ho scritto una bella canzone”), presenta Passo d’uomo, libro scritto a quattro mani col giornalista e saggista Antonio Gnoli.

Non è autobiografia, ma una riflessione sul mondo. Passo d’uomo è anche il titolo di una mia canzone, dall’album Sulla strada, e significa che per misurare il mondo devi sapere misurare l’uomo”. Il tentativo di trovare una misura umana è difatti il filo conduttore del libro. “C’è poi il legame con la storia e la letteratura” spiega De Gregori, appassionato di storia e avido lettore.

“In storia ho quasi una laurea” dice con ironia: il successo delle canzoni ha fatto sì che – con dispiacere del padre bibliotecario – non riuscisse a portare a termine la tesi che voleva scrivere con Renzo De Felice sulle biblioteche popolari e scolastiche durante il fascismo; ma la passione è rimasta e la storia è una delle principali protagoniste delle sue canzoni (si pensi ad esempio a La storia e Il ‘56).

Per quanto riguarda la letteratura, Kafka e Moby Dick sono fra le sue più grandi passioni. Ritiene che Kafka abbia una sua leggerezza, anche se di questo non riesce a convincere nessuno. “Un libro va letto varie volte, perché ogni volta ti regala qualcosa di diverso” sostiene il cantante “ma su Il castello non cambio idea: il senso di pace che mi trasmette all’inizio, quanto il protagonista osserva da una locanda il paesaggio innevato, non cambia”.

Massimo Cirri, che presenta l’evento, sposta la conversazione di De Gregori e Gnoli sulla musica. Scopriamo che De Gregori ha un’ossessione, o piuttosto un dispiacere: non essere riuscito a comporre una canzone semplice. “Vorrei scrivere una canzone facile da ricordare, come Sapore di sale, magari non così bella. Il problema è che sono innamorato delle parole, mi piace come si attaccano fra di loro, ma spinto da questo scrivo cose che sono degli scioglilingua anche per me. Prendete ad esempio Vai in Africa, Celestino!”.

Una canzone funziona se c’è commozione, soprattutto collettiva. La commozione è l’intelligenza che ci fa comprendere un’opera d’arte. Il pathos che creano le canzoni è quanto di più immediato: questo non vuol dire che rinunciamo a capirne la profondità, ma De Gregori è convinto che compito di un’opera d’arte sia creare un feeling emotivo. “C’è un elemento irrinunciabile che ti fa capire se quello che stai ascoltando o vedendo ti piace o no”.

“Sono uno che legge e si emoziona, poi mi scatta la voglia di approfondire, ma prima mi faccio emozionare, colpire”. Questo vogliono gli artisti: comunicare sul piano emotivo. “Se qualcuno mi dice che si emoziona sentendo una mia canzone sono molto più contento che se mi dice che l’ha capita”.

E non c’è niente da capire…