Se Francesco Petrarca diceva “un bel morir tutta una vita onora”la morte di Pasolini non ha affatto onorato la sua carriera prodigiosa, la sua esistenza. Il 2 novembre è il giorno della commemorazione dei defunti, e per ironia della sorte, quello del 1975 segnò tragicamente la fine della vita di un artista emblematico, di un intellettuale tuttora controverso.

Era la sera del 1 novembre, e Pasolini era consueto recarsi presso la località di Ostia, a Roma, in compagnia di ragazzi di vita. Gli avvenimenti di quella notte sono piuttosto confusi: qualcosa è andato storto. L’unica cosa che sappiamo è che Pasolini è stato ucciso, in un modo orribile, probabilmente percosso da più persone, con violenza, lasciando ferite di ruote sul suo corpo, quasi irriconoscibile dopo tanta violenza. Non solo l’Italia, ma l’intero mondo ne fu sconvolto.

Dopo quarant’anni, si parla ancora di complotti, di sfogo di rabbia da parte di omofobi, di omicidio di stato. Non possiamo sapere nulla. L’unica cosa che possiamo dire è che un intero Paese si è sentito in colpa. Com’è possibile? L’odio nei confronti dell’artista era sempre stato noto. Critici letterari e cinematografici cercavano invano di stroncare la sua carriera; politici e fascisti lo minacciavano per le sue idee controverse. Pasolini era infatti contro tutti. Era contro la Democrazia Cristiana, contro il progresso del boom economico, il quale, secondo Pasolini, era una forma di fascismo. Era contro il 68, e contro il PCI, di cui aveva fatto parte.

Il giorno in cui Pasolini fu trovato morto, tutti i suoi nemici si sono accorti di aver spinto l’odio troppo in fondo. Forse, a questo punto, il suo amico Carmelo Bene aveva ragione a parlare di omicidio di stato. Parole pesanti, ma che trovano il loro significato nelle innumerevoli accuse da parte dei difensori di Pasolini verso chi gli era stato intollerante.  Ed è naturale accorgersi di quanto le opinioni siano state aggressive nei confronti di un essere umano, che lottava proprio a favore della libertà di espressione, in una società che cerca di mostrarsi aperta ad essa, ma che de facto inveisce contro chi esprime le proprie opinioni nel modo che preferisce.

La morte di Pasolini è stata ingiusta, nella logica petrarchesca. Ma d’altra parte, è stata come un suo film, o un suo libro. Pasolini è stato vittima di ciò che lui stesso raccontava e contro cui lottava: contro la violenza. Che sia stato un complotto, o meno, è stato compiuto un atto orribile, e oggi rimpiangiamo di aver perso anzi tempo un intellettuale che avrebbe potuto darci ancora tanto. Peccato che non l’abbiamo voluto ascoltare mentre era in vita. E chissà, forse la sua tragica morte fu essa stessa a farci aprire le orecchie. Si tratta di un’idea triste, ma con un epilogo che può portare buoni risultati. Come il seme che morendo dà vita ai frutti. Così dovremmo vedere Pasolini. Si può non amare il suo cinema, non apprezzare le sue doti di poeta, o di scrittore accanito contro il potere, ma non si può non riconoscere lealtà e coraggio nel suo lavoro.

Curiosità, proprio il giorno prima dell’omicidio, Pasolini ha affermato in un’intervista: “Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. E’ facile, è semplice, è la resistenza”. Un autentico canto del cigno.

Ora sta a noi fare in modo che non avesse ragione quando diceva: “La morte non è nel poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”. E quindi, paradossalmente, permettergli di comunicare dopo la morte,  dargli ascolto, non lasciarlo morire in vano, riportarlo in vita.

Non a caso la nostra rubrica si chiama “Rivivere Pasolini”.

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