Una sala da ballo nella campagna inglese. Gentiluomini e giovani fanciulle si intrattengono in quello che, nell’Età della Reggenza, era considerato forse il più appropriato intrattenimento: la danza. Mani che si sfiorano, sguardi che si intrecciano, scarpette che scivolano leggiadre sul pavimento, dando vita a complicati passi e figure.

«Che divertimento garbato, per i giovani, non è vero, Mr. Darcy? Non c’è niente di paragonabile al ballo. Lo considero come una delle forme di svago più raffinate della società elegante.»

È nell’atto della danza che i giovani che vi prendono parte hanno l’opportunità di mettere a nudo la propria personalità, il proprio modo di essere, in modo libero, senza barriere, cosa che non si può di certo dire della conversazione, in cui il peso delle parole prende il sopravvento sul vero significato.

Forse è per questo che Elizabeth Bennet dimostra ritrosia all’idea di ballare con Mr. Darcy: un uomo, seppur bello e decisamente ricco, che si esprime nei suoi riguardi definendola “non abbastanza bella da tentarmi” certamente non è degno della sua attenzione. Eppure, Mr. Darcy non è dello stesso avviso. Dopo le prime, infelici parole che sembrano segnare l’inizio di un’antipatia senza via d’uscita, il gentiluomo viene rapito, suo malgrado, dallo spirito vivace e schietto della giovane, dal suo non avere paura di esporsi ed esprimere la propria opinione e – soprattutto – dai suoi begli occhi, da cui rimane irrimediabilmente affascinato. Ed ecco che, nonostante la ragione gli imponga di rimanere freddo, impassibile davanti a Elizabeth, il cuore gli chiede con insistenza di trovare un punto di contatto, un modo per abbattere quella barriera che la fanciulla – alimentata da una naturale antipatia e da racconti non proprio lusinghieri sul giovane – ha eretto tra di loro con decisione, senza dubitare nemmeno un secondo del proprio giudizio. Solo cogliendola di sorpresa riesce a ottenere il tanto agognato ballo, che, tuttavia, si rivela ben diverso da ciò che aveva sognato: la scostanza della compagna, il suo malumore a malapena celato, la sua insofferenza e la sua evidente decisione di coglierlo in fallo lo lasciano insoddisfatto:

Ballarono la seconda danza e si separarono in silenzio, scontenti tutti e due, sebbene in misura diversa, perché Darcy nutriva già per lei un sentimento abbastanza forte per poterle perdonare.

Ed è a questo punto che la ragione torna a farla prepotentemente da padrone: arginato – per quanto possibile – il sentimento, Mr. Darcy decide di tornare a ragionare razionalmente, rendendosi conto di come una giovane appartenente a una classe sociale inferiore, afflitta da una famiglia imbarazzante – in cui il padre, infastidito dalla frivolezza imperante nella sua casa, sceglie di rifugiarsi nella sua biblioteca, lontano dalle conversazioni casalinghe, mentre la madre e le sorelle minori si rendono ridicole manifestando troppo smaccatamente il loro desiderio di migliorare la propria posizione sociale, forti della loro boria e presunzione – non possa essere la giusta compagna, soprattutto per un uomo il cui orgoglio viene prima di tutto. È il pregiudizio, quindi, ad animarlo, a renderlo nuovamente cieco e a riportarlo nel buio da cui si era, anche se solo per poco, affrancato. Non riesce a nasconderlo nemmeno quando, nuovamente sopraffatto dai suoi sentimenti, si dichiara a Elizabeth:

«Ho lottato invano. È inutile. I miei sentimenti non possono più essere soffocati. Dovete permettermi di dirvi che vi ammiro e vi amo ardentemente.»

La sorpresa di Elizabeth fu indicibile. Trasalì, arrossì e tacque dubitando. Egli pensò che fosse un incoraggiamento bastante, e seguirò con un’immediata confessione di tutto quello che provava e che aveva provato da tanto tempo per lei. Parlava bene; ma vi erano altri sentimenti, oltre a quelli del cuore, che doveva esporre, e non meno eloquente nel dimostrare il suo orgoglio di quanto non lo fosse stato per rilevare il suo affetto. L’idea dell’inferiorità sociale di Elizabeth, per lui così umiliante, degli ostacoli familiari, per cui aveva sempre cercato di combattere la sua inclinazione verso di lei, tutto fu esposto con un calore forse dovuto ai pregiudizi che aveva la forza di vincere, ma che non era certo adatto a rendere accetta la sua domanda.

Scontrarsi con il rifiuto di Elizabeth ha il potere di riportarlo alla realtà e, cosa più importante, di costringerlo a riflettere. È l’orgoglio di lei – e il pregiudizio nei suoi confronti – che, finalmente, riesce a scuoterlo davvero, a portarlo a non dare tutto per scontato, a fargli comprendere che per poter vivere davvero deve, prima di tutto, mettere in discussione sé stesso, buttarsi alle spalle l’orgoglio e il pregiudizio che lo rincorrono, uscire dai rigidi schemi in cui ha sempre vissuto per mostrarsi per ciò che è davvero, per scegliere secondo il proprio cuore, anche a costo di andare contro a tutto ciò che si è sempre seguito.

E quando questo finalmente avviene, il finale non può che essere quello sperato.

Elizabeth non osava guardare spesso verso Mr. Darcy, ma, se le accadeva di dare una rapida occhiata, notava in lui una specie di contentezza; tutto quello che diceva era così lontano dalla sua abituale alterigia, dal suo fare sprezzante, da convincerla che quel miglioramento nei suoi modi, notato il mattino precedente, anche se destinato a essere passeggero, aveva resistito almeno per un giorno. […] Ma, al di sopra della stima e del rispetto, c’era in lei qualche cosa di più. Era gratitudine; gratitudine non soltanto per quel sentimento che un tempo egli aveva nutrito per lei, ma per amarla ancora abbastanza da perdonarle tutta l’acredine e la petulanza con cui lo aveva respinto, e le ingiuste accuse che avevano accompagnato il suo rifiuto.

 

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