La figura di Gian Carlo Caselli non ha bisogno di presentazioni.

Magistrato a Torino, a Palermo e poi nuovamente a Torino alla guida della Procura, già membro del CSM e a capo del DAP, vive sotto scorta insieme alla sua famiglia dal 1974.

Nella cornice del convento S. Francesco di Pordenone, l’ex magistrato presenta il suo ultimo lavoro, ”Nient’altro che la verità”: una rassegna della sua esperienza da magistrato e, inevitabilmente, un racconto biografico degli aspetti anche privati della sua vita.

Seguire gli snodi della carriera di un magistrato così importante, significa non solo ripercorrere il percorso di un uomo, ma in ultima istanza narrare gli eventi principali della storia italiana contemporanea.

Dagli anni del terrorismo e delle Brigate Rosse, passando per i processi di mafia e il famoso procedimento a carico di Giulio Andreotti, per finire con il G8 di Genova e il movimento NO TAV: sembra non esserci dossier giudizialmente rilevante che non passi in qualche modo per le mani di questo instancabile servitore dello Stato.

La Storia sembra inseguire il magistrato come un’ombra, insensibile alla sfera familiare e alle amicizie, come quella con Bruno Caccia, e che non può essere fermata da nessuna scorta.

Questa stessa ombra, proiettata dalle parole del protagonista a vantaggio dell’uditorio, prende le forme degli eventi per trasformarsi in diapositive vivide nelle menti di chi ricorda quegli anni, più sfumate per chi li ha solo sentire raccontare.

Il racconto di Caselli è allo stesso tempo un’opera personale ed una narrazione collettiva, che deve alla sua natura retrospettiva quello che forse è il suo più grande pregio: non la nottola di Minerva con cui capire la nostra storia recente, ma un punto di vista meno condizionato dai tempi, più critico e in senso lato più libero.

E infatti l’ex giudice non lesina aneddoti e lucide analisi: dalla sofferta decisione di chiedere il trasferimento a Palermo, dove aveva «soltanto una libertà, quella di respirare», agli attentati pianificati contro la sua persona, fino alla mancata nomina a Procuratore Nazionale Antimafia, frutto di un ostruzionismo tutto politico nei confronti di chi aveva osato processare e far condannare Giulio Andreotti.

Tale ultimo episodio, in particolare, viene ricordato con una nota di amarezza nella voce.
Un sentimento che lascia però subito spazio all’
orgoglio di poter proclamare una volta per tutte la propria indipendenza di magistrato, soprattutto nei confronti di quella “zona grigia” di interessi e connivenze che rende così radicato ed inedito il fenomeno mafioso.

Ampia sottolineatura trova anche la memoria dei giudici Falcone e Borsellino, assurti ad eroi nazionali ma «bastonati professionalmente» quando ancora in vita, per esempio attraverso i bizantinismi e burocratismi in nome dei quali fu preferito Antonino Meli a Giovanni Falcone per la nomina a Procuratore Nazionale Antimafia.

“Nient’altro che la verità” è, a detta di Caselli stesso, un libro dedicato in primis alla famiglia ed ai figli «letteralmente cresciuti in mezzo ai mitra» ed agli uomini delle sue scorte, con cui ha condiviso per tutti questi anni un rapporto ossimorico di spietatezza professionale e cordialità personale.

Come spesso accade con i grandi personaggi, il racconto e le riflessioni suscitate non vengono esorcizzati dagli applausi – sentiti e calorosi – della platea: ci seguono, ombra di un’ombra, fino a casa.