Mia madre“, dodicesimo lungometraggio, in concorso al festival di Cannes, del regista più controverso e altrettanto amato Nanni Moretti, è un delicato gioco di sguardi, nel quale il regista e attore sceglie di non assumerne le redini, portandosi in secondo piano e lasciando che sia il personaggio di Margherita ( Margherita Buy) a ripercorre le ultime tappe della triste vicenda autobiografica, la morte della madre. 

Il film si apre con lo sguardo serio della protagonista, una giovane regista, che segue con occhi tesi e vigili le prime sequenze del film che sta girando, ” Noi siamo qui”, un film sulla disoccupazione e le forme di protesta operaia.

Sono gli stessi occhi con cui guarda sua madre, Ada ( Giulia Lazzarini), già ricoverata in ospedale, in attesa del responso di analisi, che si riveleranno in seguito infauste. Gli occhi di Ada, al contrario, incrociano, in un primissimo piano, l’obiettivo della macchina con tutta la loro ingenuità e spaesamento, ma insieme con la loro dolcezza e conforto .

La vita dei due figli, Margherita e Giovanni ( Nanni Moretti), messi al corrente dai medici dell’imminente fatto, è introdotta in una dimensione temporale immobile, sospesa, e imprevedibile, quella dell’attesa. Il tempo dei due fratelli, scandito dalle visite e dall’assitenza in ospedale, pur nella sua regolarità e monotonia, resta liquido, informe, diventa “non tempo“.

Come spiega Moretti, la vita di Margherita si fa infatti sempre più confusa: pur con la sua rigidezza esteriore, ella è profondamente smarrita e ricerca una solidità proprio nel suo lavoro e in una realtà estranea ai suoi problemi, che il mezzo cinemetografico ( non a caso) le consente di rappresentare in modo realistico, anche se comunque illusorio. 

“Noi siamo qui”, riflette le problematiche della realtà esterna al personaggio, ma anche i suoi ideali e dunque le uniche certezze, gli unici scogli in mezzo al mare, sui cui appendersi e riprendere fiato.

L’incursione del cinema nei film di Moretti è molto ricorrente : il film nel film( in particolare ne ” il Caimano”) è l’unico espediente con cui il regista romano ci fa intravedere lo spazio oggettivo, la realtà storica, rispetto allo spazio soggettivo, individuale e familiare del personaggio principale. 

Forse sarebbe azzardato dire che questa operazione “metacinematografica” rispecchi l’incapacità di un regista di  vederci chiaro, se privato del proprio “occhiale”, del proprio mezzo di analisi della realtà, ossia l’obiettivo della macchina da presa.

“Riportatemi alla realtà” è la frase che pronuncia John Torturro, nei panni di un divo americano che non riesce a ricordare mai le battute del copione: una frase enigmatica e al contempo emblematica, forse allusiva a questa incapacità.

Una splendida e intensa colonna sonora, cifra stilistica per cui si contraddistingue Nanni,  ci porterà nei meandri dei reparti ospedalieri e del set cinematografico, le uniche due ambientazioni: gli otto brani strumentali di Arvo Pärt, noto compositore estone, e tre pezzi di Ólafu Arnalds, famoso musicista islandese, da segnalare è anche  la canzone “Baby’s coming back to me” di Jarvis Cocker. 

 

 

 

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