Michelangelo Buonarroti era un uomo dalle passioni forti: sapeva amare, travolgere, ma anche essere vendicativo. Costantino d’Orazio ce lo ha raccontato oggi presentando il suo libro “Michelangelo. Io sono fuoco“.

Citando il nome di quest’artista non può non balzare alla mente una delle sue opere più famose : La Pietà. Ecco, questo prodigio della cultura rinascimentale, spiega d’Orazio, è in realtà colmo di errori. Il vestito della Madonna risulterebbe essere troppo grande, sproporzionato per una donna così gracile. Ma, al di là dell’apparenza, ciò nasconde un significato molto più profondo: Maria, il suo abito e la posa che assume altro non sono se non il podio su cui poggia il corpo del Cristo morente. Una critica si faceva sentire al di sopra di tutte , riguardo al complesso scultoreo: il volto della Vergine sarebbe stato troppo giovane per la madre di un uomo di 33 anni. Anche questa volta, Michelangelo spiazza tutti e, con fare mordace, afferma che le donne caste invecchiano più lentamente delle altre. Questo perchè l’obiettivo dell’artista andava al di là della mera forma: quello che aveva voluto riproporre era il concetto dell’immacolata concezione. Indice questo della mente sottile che lo contraddistingueva.

Afferma D’Orazio che la scultura del Buonarroti non è mai realistica, dal momento che l’obiettivo principale è quello di lasciar trapelare un’idea. Nel caso della “Pietà” il concetto espresso è quello di una madre che offre il figlio, aspetto che i più considerano essere sottolineato dalla mano della vergine.

La volontà di esprimere l’idea si fa ancora più evidente nella “Pietà Rondanini”, a cui Michelangelo avrebbe lavorato fino agli ultimi giorni della sua esistenza e che ha in sè un principio visionario, moderno. Madre e figlio sono qui fusi in un blocco unico, indefinito. Solo le gambe del Cristo sono levigate, perchè erano l’unico punto raggiungibile dal Buonarroti Morente. Questo aspetto risulterà essere dominante per lo scultore: il fatto di possedere una mente ricca di ideali, ma costretta in un corpo che non gli consentiva di portare a termine tutti gli slanci che in lui sorgevano.

Elemento indicativo è l’utilizzo dell'”errore” per consentire l’equilibrio dell’insieme. Da sempre si ricorda, infatti, la mano spropositata del “David” e la sua testa troppo grande. Ma proprio perchè nulla era mai dato alla casualità, questi due aspetti si possono spiegare con il principio di proporzione del “chiasmo” e con la volontà di focalizzare l’attenzione dell’osservatore su elementi che aiutino a raccontare e completare la scena. Egli, infatti, non è interessato solo alla realizzazione delle belle forme ma anche alla mess’inscena di azioni potenziali. La legge del “soverchio”, in base a cui il blocco di marmo celerebbe già l’opera e all’artista sta il compito di svelarla, era il suo mantra.

Questi elementi vengono acuiti con il passaggio alla pittura e culminano nella profondità, nel movimento, nell’iconicità che pervadono la voòlta della Cappella Sistina e Il Giudizio Universale.