2015, l’anno in cui in Occidente ogni persona (o quasi) è dotata di uno smartphone e, ma non necessariamente, di un profilo Facebook. Tutti con gli stessi colori, le tematiche che hanno un finto rimbalzo bottom-up (quindi con provenienza nascita dagli utenti), perché in realtà sono i grandi media a deciderlo. Non lo sapevate? Ora sì.

C’è posto per uno sprazzo di storytelling dal basso, ma i casi sono sempre minori. Siamo – sempre più – tutti uguali.
Oramai non chiediamo più “Come stai?”, ma “Ho visto su Facebook che sei stato/hai fatto/hai scritto”. E allora la conversazione a cosa serve più?

Allora non c’è più bisogno di incontrarsi, siamo già tutti lì, tutti uguali, senza distinzione.
Ma c’è davvero speranza? Possiamo ancora uscirne?
L’omologazione era un tema su cui Pasolini ha incentrato i suoi dibattiti televisivi e
molti dei suoi scritti (quelli Corsari, ad esempio, che consiglio di leggere).

Una frase mi rimarrà per sempre in testa: “Tuttavia nella storia il “vuoto” non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo.
È probabile che in effetti il “vuoto” di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l’intera nazione.” (Il vuoto del potere in Italia, in “Corriere della Sera”, 1° febbraio 1975).
Non ci sono più le lucciole, non affannatevi a rincorrerle. La crisi c’è stata. Il vuoto lo stiamo colmando, ma come?
Siamo sempre più attaccati a rapporti fittizi, al punto che quando qualcuno ci chiede “Ci incontriamo?”, ci sembra quasi un affronto.
“Come incontrarci? Non ti basta un messaggio?”. No, evidentemente no.
Ritorniamo umani?

Facciamo così, rendiamo vero questo esperimento: evitate le ricerche su Wikipedia per qualsiasi cosa, magari chiedete a qualcuno, creando un’interazione vera, uno scambio vero.
Può sembrare una richiesta sciocca, in realtà è una provocazione forte.
Parliamoci di più, interagiamo di più, conosciamo di più.
Non diamogliela vinta.

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