È il 1987 quando Robert Mapplethorpe presenta al pubblico Newyorkese quella che probabilmente risulterà una delle opere di maggiore successo (e scandalo) del fotografo americano.

Un uomo nudo sembra cercare di aprire il cerchio bianchissimo che si chiude attorno a lui. Ma non è solo un uomo: è nero, è muscoloso ed è omosessuale.

Mapplethorpe viveva all’interno di un contesto culturale che era quello della cultura omosessuale di New York degli anni ’70-’80, periodo in cui questo “mondo” era sconosciuto e quindi considerato quasi tabù.

Questi dati ci fanno ben capire la scelta del protagonista dell’immagine, che funge a questo punto da specchio dell’inconscio di Mapplethorpe, manifestando così sia il motivo sessuale e provocatorio, che quello la ricerca del bello.

In questo contesto una bellezza che andava ricercata, secondo lui, all’interno del corpo umano, in particolare quello maschile.

Questo perché, come facevano gli scultori greci, non solo dava un’idea di forza, ma anche di compiutezza delle forme, che potevano essere racchiuse all’interno di forme quasi definite, e quindi utilizzabili all’interno di una schema compositivo preciso e originale.

In questo scatto Mapplethorpe reinterpreta gli schemi di composizione, che richiamano quelli dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, del 1490, ma del quale rimangono solo deboli linee, perché il fotografo a scardinato le regole di proporzione per creare un’opera degna di essere ricordata ancora oggi. 

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