Nel linguaggio comune, la distinzione tra cosa e persona è netta e priva di sfumature: tra i due enti esiste un rapporto di reciproca separazione ed esclusione, che è costitutivo del nostro pensiero e del modo in cui, più o meno volontariamente, tendiamo a categorizzare e distinguere le varie dimensioni del reale. Un ente è, in linea di massima, o persona o cosa: impossibile che possa essere entrambi o, addirittura, nessuno dei due. Muovendo da questo presupposto, Esposito costruisce la propria riflessione su una considerazione che, a ben pensarci, risulta piuttosto ovvia: non è sempre possibile tracciare una linea di demarcazione tra le due categorie, poiché tra di esse esiste un rapporto di implicazione reciproca e di interdipendenza. 

Il primo esempio che immediatamente chiarisce questa affermazione è il concetto di possesso: si è persona solo quando si possiedono delle cose, o persone ridotte a cose. Prima di analizzare i rapporti cosa – persona occorre, infatti, fermarsi uno scalino più in basso e considerare i rapporti persona – persona: “i rapporti tra persone sono determinati dai rapporti che queste hanno con le cose”, e nella fattispecie, con il denaro (che non può nemmeno, a ben pensarci, essere considerato cosa nel senso tradizionale del termine, poiché legato ad una componente umana non indifferente). “Esiste una grande retorica sulla categoria di persona”, dice Esposito, ma l’uguaglianza in quanto persone è ancora lontanissima: gli esseri umani si sono sempre divisi, nel corso della storia, tra persone e coloro a cui questo status non veniva riconosciuto. Ci viene in mente la schiavitù, ma la storia è disseminata di moltissimi altri esempi.

Spostandosi poi alla concezione della cosa in quanto tale, Esposito ci fa notare che, nel corso della storia, essa è profondamente cambiata: la res del mondo romano si riferiva ad un qualcosa che coinvolgeva tutta la comunità, ad un’azione che richiedeva l’intervento di una collettività, e possedeva quindi, prima di tutto, un significato sociale e non un valore qualitativo o quantitativo. Oggi, una cosa è una merce, un oggetto di scambio, che possiede un valore misurabile in termini economico – mercantili ed è assimilabile alla parola “bene”, un tempo usata con significato esclusivamente etico. La cosa è rimpiazzabile, si può usare e distruggere, alimentando così un meccanismo produttivo sfrenato che la persona si illude di controllare ma di cui è, in realtà, schiava inconsapevole. Il mercato produce senza sosta e senza criterio, originando un accumulo di oggetti che supera di gran lunga, in numero, le persone stesse e rischia di aumentare lo spazio che le divide. Esposito ci fa notare come le cose, da schiavi nelle nostre mani, siano diventate i nostri padroni, determinando una depersonalizzazione progressiva che è il prezzo da pagare per l’avanzamento tecnologico. Siamo passati da una società dell’essere a una società dell’avere: è inevitabile che l’oggetto influenzi il nostro vivere quotidiano più di quanto sia accettabile e auspicabile.

Nella seconda parte dell’intervento, Esposito si pone un interrogativo: “come uscire da questa tendenza e modificare il rapporto di forza tra avere ed essere?” Esistono due soluzioni: dare rilievo all’elemento del corpo e ripensare la cosa (che non è esclusivamente oggetto inanimato).

Il corpo non è, dice Esposito, riconducibile né alla persona né alla cosa: è il contenitore della categoria di persona, ma ciò che lo fa funzionare (organi, tessuti, cellule) non è puramente assimilabile al concetto di “cosa”. Si tende a far coincidere il concetto di persona con quello di corpo, senza accorgersi che ci sono delle eccezioni: Esposito si chiede, ad esempio, se il corpo che rimane dopo la morte possa ancora essere considerato “persona”, o se un embrione umano sia più vicino all’essere che teleologicamente diventerà o ad un ammasso di cellule senza vita (aprendo una parentesi di bioetica che avrebbe potuto fornire materiale per un altro incontro). Il corpo è ciò che sta nel mezzo, ed è da qui che dobbiamo partire per riformulare le concezioni canoniche di cosa e persona.

Anche l’arte e la tecnica si inseriscono tra persone e cose, perché danno forma alla materia passando per l’intelligenza e l’atto creativo.

Come considerazione finale, Esposito osserva che l’uomo è prodotto di se stesso, qualcosa che si costruisce da sé ma sempre più omologato, offrendo al pubblico uno spunto di riflessione. Siamo persone, ma sempre più simili e sempre più vicine alle cose?

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