Nella nostra passeggiata in centro città, le facciate variopinte delle più antiche case pordenonesi rapiscono ancora una volta il nostro sguardo. Se siamo rimasti affascinati nel primo appuntamento da quelle forme geometriche e da quel ventaglio di colori che caratterizzano le ricchezze pittoriche da Casa Simoni a palazzo De Rubeis, ora non rimane che completare il nostro viaggio.

A metà del corso, a poca distanza tra loro, spiccano due tra i più antichi edifici della città e risalenti rispettivamente al XIV e XV secolo. Il primo, parte di un altro palazzo risalente al Seicento che ne mantenne l’integrità, vede correre sulla parte più alta un fregio a fascia floreale. Tra le due finestre, contornate da una colorazione giallo-rossa alternata a fasce bianche, si staglia lo stemma policromo della casata asburgica. È uno dei rarissimi edifici che porta ancora l’antica enumerazione detta “alla veneziana”: sotto l’arco compare infatti il numero 405.

Lo stemma degli Asburgo è presente anche nell’edificio del secolo successivo ed è affiancato ad altri tre. In origine, sarebbero dovuti essere sette e quelli tuttora visibili si riferiscono al Regno d’Ungheria, all’Austria e ai signori di Gorizia. Le decorazioni ad affresco risalgono all’età rinascimentale mentre l’attuale facciata sembra stata uniformata e trattata a marmorino nel Settecento per emulare i bianchi edifici veneziani. Il Settecento infatti fu l’ultimo secolo di dipendenza dalla Repubblica della Serenissima.

La nostra passeggiata continua con palazzo Gregoris-Bassani. I due ordini del palazzo sono intervallati da maschere, delfini, sirene, tritoni e ippogrifi. Accanto alle finestre, colonne doriche e corinzie sembrano voler incorniciare una finta tappezzeria a catenelle. Nell’ordine in alto compare lo stemma bianco e nero dei Gregoris con le iniziali di Francesco.

Nei documenti ufficiali e nei censimenti della parrocchia, tra le più citate famiglie pordenonesi, spiccano i Mantica. Nel duomo di San Marco, questa nobile famiglia aveva fatto costruire l’omonima cappella e nell’anno 1555 fu fatta costruire la tomba con i nomi di Sebastiano Mantica e della moglie Caterina. Nel loro stemma sono disegnati un’aquila imperiale e un leone rosso poggiato su tre colonne che è possibile scorgere nel fregio a metà altezza del palazzo, in corrispondenza dell’allineamento di due colonne color purpureo. I Mantica “munifici e spendaccioni, vollero una casa che riflettesse i propri successi. Da astuti e spregiudicati mercanti conciliavano la politica -servendo la comunità nelle cariche civiche e nelle ambascerie- con il portafoglio”. Se nella vita cittadina mantennero sempre un ruolo da protagonista, non sorprende quindi se tra due finestre del loro palazzo compaia l’unico affresco di Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone, accertato tra le facciate del corso e sicuramente di mano dell’artista. È raffigurato un combattimento tratto da un testo latino di Livio: Marco Valerio Corvino che a cavallo uccide un gallo. Ancora una volta vengono ripresi motivi vegetali con rami di vite e il “corno dell’abbondanza”, un simbolo mitologico, colmo di frutti e circondato d’erbe e di fiori che inneggia alla fertilità. Nel sottotetto sono invece raffigurate allegorie marine con putti alati, un drago e altre figure.

Sulla sinistra ci ritroviamo il palazzo Varmo-Pomo detto “dei Capitani”, unico nel suo genere. È caratterizzato da una decorazione a rombi e quadrati al centro dei quali compaiono rosette dai colori rosso, bianco, verde e nero. Si affaccia sull’attuale via del Mercato, un tempo “calle dei Pomo”, che diede il nome al palazzo quattrocentesco. La sicura costruzione austriaca è documentata da un affresco che si trova sul lato dell’edificio. In corrispondenza della canna fumaria addossata alle mura compare un guerriero dai capelli dorati dalla fisionomia e dai costumi nordici che si trova nell’atto di reggere con le braccia il camino sopra la sua testa. Prima della Seconda guerra mondiale, la casa era preceduta da un’altra splendida dimora interamente affrescata distrutta dai bombardamenti.

Dove oggi sorge il museo civico, una volta era la casa della famiglia Ricchieri, tra le più vecchie e numerose famiglie della città. Il palazzo, che subì delle modifiche nel corso del Seicento, risale al XV secolo. Caratteristica è la maschera in pietra sovrastante l’apertura centrale. Le pitture murali del periodo gotico lasciarono spazio successivamente alle rappresentazioni di allegorie profane e scene di battaglie e duelli.

Scende così il sipario sui palazzi della città picta che, grazie alle sue bellezze, riesce a tenerci passo dopo passo con il naso all’insù. Queste opere a cielo aperto, che necessitano solo di essere scoperte, hanno origine in età medievale e fanno da specchio a una città che cambia, continuamente sottoposta a molteplici dominazioni. Gli affreschi del corso di Pordenone rimangono immortali nella memoria dei visitatori di ogni epoca ai quali essa apparve, così come a noi oggi, una “squillante galleria” d’arte, parte indissolubile nella storia della città.

 

 

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