Lo scrittore “naturista” di Erto nel 2016 ha pubblicato con Mondadori La via del sole. Il libro me lo sono ritrovata una mattina sul mobiletto del corridoio, inaspettato, adottato da mia madre. Mi sono lasciata ispirare dal titolo e dalla copertina, che ritrae l’astro mentre illumina la cima di una montagna, irradiando tutto il paesaggio di un colore caldo. Di caldo però, la storia ha poco.

Mauro Corona stavolta ci parla della vicenda un ingegnere, mai nominato esplicitamente, che sulle soglie dei 30 anni decide di ritirarsi dalla società. Ritenuta piena di gente stupida, vizi e superficialità, vuole sfuggirle abbarbicandosi su di una baita in montagna, dove può godere di più ore di luce, pace e tranquillità. Grazie all’agiatezza della sua famiglia riesce a farsi costruire una casa ultra-moderna dotata di ogni comfort, dove si ritira con libri, scorte di energia e cibo. Il proposito è buono, ma il narratore ammonisce che la vita in solitaria non è per tutti, solo qualcuno vi è tagliato. L’ingegnere da sempre è stato viziato e tenuto sul palmo di una mano, e l’isolamento farà emergere questi tratti invece che attenuarli.

“In alta montagna i contadini stavano attenti. Se si accorgevano che un alberello cresceva storto correvano ai ripari. Piantavano un paletto accanto al tronco fasciandolo con strisce di garza per costringerlo a salire dritto. Attorno a questi piccoli meli, peri, ciliegi, non avvolgevano fil di ferro, giacché non si mette in linea nulla usando la violenza. Occorrono decisione e fermezza unite alla dolcezza. Il fil di ferro avrebbe ferito quelle piantine. A che serve correggere se uno è scorticato vivo e rovinato? La dolcezza della garza li avrebbe tenuti fissi al paletto senza far loro male. E così crescevano dritti accanto a quel rigido protettore che un tempo fu albero anche lui.”

Nella mente dell’ingegnere si affacciano i ricordi di una vecchia guida che da piccolo, quando i genitori andavano in villeggiatura, lo accompagnava in gita in montagna. Uno degli ammonimenti della vecchia guida al bambino riguardava proprio le cime arcigne, che stavano al loro posto e nessuno aveva il diritto di spostare, anche se desiderava vedere il sole il più a lungo possibile.
L’ingegnere invece, infastidito dal cammino del sole ostacolato dalle montagne, comincia a ordinare ad uno ad uno la demolizione dei picchi che ne ostruiscono la visuale dalla sua baita. Si prospetta un’opera distruttiva di enorme scala, che l’uomo si ostina a portare avanti negli anni. Ormai vecchio e accecato l’ingegnere non si accorge di aver dedicato la vita ad un proposito cattivo e non buono. Solo alla fine, complice una malattia che lo farà scendere a valle, assieme alle parole di un omino che soleva fargli visita sui cantieri, capisce di avere sbagliato. Non tutto il male vien per nuocere, dice il proverbio, e anche in questo caso una speranza e un aiuto trapelano dall’opera distruttiva di un uomo ricco e viziato.

Ammetto di aver ricorso a più di un paio dei Diritti del Lettore di Pennac durante questa lettura, da cui mi aspettavo un percorso di crescita personale del protagonista, anziché un modello negativo e una morale. Corona ci offre la parabola dell’errare di un uomo, ricordandoci che quando tramonta il sole sorge la luna, che è altrettanto bella.