Finalmente si parte! Sul burchiello su cui siamo saliti, l’equipaggio che governa la barca è di tre marinai: due a poppa e uno a prua, tutti con un remo alla mano. Qualcosa però non torna: siamo su una barca elegante, forse troppo per un semplice trasporto passeggeri; il burchiello, come noto, è una barcaper il trasporto di persone ma solo e soltanto esclusiva del Brenta. Era tra l’altro la limousine fluviale dei nobili veneziani, utilizzata per raggiungere l’entroterra veneto e le loro ville in campagna. Non era di certo quindi una diligenza pubblica, evidentemente siamo stati tratti in inganno dalla fila in attesa di imbarcarsi e dal fatto che ci abbiano fatto pagare il trasporto. Ecco quindi la famosa furbizia commerciale dei mercanti marinai della Laguna, fortuna della Serenissima: ci hanno fatto salire per guadagnare qualche soldo in più del loro normale stipendio. Siamo dunque ospiti casuali (e paganti!) in una comitiva già prevista.

Uscendo dalla cabina ci volgiamo verso il marinaio di prua, lo stesso che ci aveva fatto passare all’imbarcadero, e gli chiediamo informazioni sul proprietario di questa imbarcazione. Ci rivela che è di proprietà di un nobile, tale Nicolò della famiglia dei Sagredo, una delle più note e antiche a Venezia. Il nome non ci è nuovo: sappiamo che Nicolò, già 66enne, tra quattro anni verrà eletto doge ma sappiamo anche che il suo dogado avrà vita breve: circa un anno e mezzo. Forse però queste informazioni è meglio tenercele per noi.

Ci fa inoltre sapere che un emissario di Nicolò sta attendendo l’arrivo del burchiello a Caorle: per arrivare a Venezia a quanto pare dovremo fare scalo. I viennesi nell’imbarcazione sono importanti uomini d’affari legati alla famiglia Sagredo, così importanti da far venire sin dalla bassa veneta il burchiello di famiglia. Non sarebbe mai e poi mai stata la prassi, evidentemente Nicolò non poteva venire di persona ad accoglierli e non aveva trovato altro modo che non inviare qualcuno a prenderli. Non indaghiamo oltre.

Il viaggio è piacevole: lo scorrere del fiume ci trasporta dolcemente in un paesaggio selvaggio, con alberi di diversa specie che si alternano in una successione casuale: faggi, pioppi, salici piangenti e altri tipi di vegetazione fanno da sfondo alla nostra navigazione. Al di là dei cinguettii degli uccelli non si sente nient’altro: il campanile di Pordenone ormai non si vede più e sembra di essere ritornati agli inizi del nostro viaggio nel tempo, nel XII secolo. E’ un paesaggio, questo, quasi immutato che possiamo ancora vedere ai nostri giorni a bordo dei gommoni o dei battelli organizzati dal comune in primavera-estate. In questa fase di discesa, unico lavoro dei marinai è correggere la rotta con i remi e con il timone, per evitare di finire troppo vicini alla riva.

Osservando però proprio la riva qualcosa attira la nostra attenzione: c’è una sorta di sentiero battuto, non molto largo ma nemmeno molto stretto, non di certo utile al passaggio di carri. Non sembra neppure essere una via pedonale, o comunque di transito, propriamente detta: ricorda molto quei sentierini di media grandezza che si vedono in montagna. Che sia una via per delle passeggiate fuori città? Incuriositi ci rivolgiamo nuovamente al marinaio di prua perché ci risolva questo dubbio. Sorridendo, ci dice di guardare più avanti.

A circa un centinaio di metri scorgiamo una barca che ci sta venendo incontro. E’ un burchio, l’imbarcazione a due vele che abbiamo già visto prima di partire, utilizzato in genere per il trasporto merci in Laguna e nei fiumi. Il fatto che una barca a vela riesca da sola ad andare contro la corrente del Noncello sarebbe certamente un qualcosa di portentoso, appunto perché senza motore. Se non fosse per il fatto che è trainata da un cavallo seguito da un uomo. Non serve quindi che il rematore ci risponda: se per scendere la corrente bastava lasciarsi trasportare e correggere la rotta per non finire sulla riva, per risalirla si legava l’imbarcazione a un animale da soma (cavallo, bue, asino) e ci si faceva trainare fino a destinazione.

Ecco quindi spiegata la funzione del sentierino sull’argine. Ovviamente poi si andava per tappe in modo da non sforzare troppo l’animale, con pause e cambi presso i villaggi lungo il corso d’acqua quando occorreva. Praticamente era questo il sistema che per secoli aveva favorito i commerci di Pordenone con Venezia, sin dall’epoca della sua fondazione: sfruttare il fiume per il trasporto di merci voleva dire risparmiare molto sul tempo oltre che sui costi, oltre che ad accorciare le distanze. Basti pensare che per trasportare qualcosa in Laguna occorrevano massimo due giorni, meno della metà del tempo che invece sarebbe stato impiegato via terra. Inoltre sul fiume non navigavano solo barche: dalla montagna infatti scendevano spesso tronchi di alberi abbattuti i quali, una volta intercettati a valle allo sbocco dei fiumi sul mare, erano destinati a rifornire di legname le attività veneziane, dai forni per il vetro all’industria navale.

Dopo essere sboccati nel Meduna e da qui nel Livenza e dopo aver passato Motta e San Stino, giungiamo finalmente a Caorle e al mare.

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