Nonostante la cucina odierna sia ormai sperimentale e ricca di influenze da tutto il Mondo, c’è un momento durante il quale, sedendosi a tavola, si possono ritrovare delle ricette tradizionali, che in alcuni casi sono tramandate da secoli: il Natale.  Quindi, mentre questa festività si avvicina, facciamo un giro dal trevigiano, le cui ricette sono influenzate dalla Serenissima, fino a Trieste, dove si sente chiaramente la cultura centroeuropea, a scoprire dei sapori unici (e tradizionali).

Nella marca trevigiana durante il cenone della Vigilia non possono mancare i due piatti per eccellenza delle vigilie di magro. Il primo sono i bigòi in salsa, ovvero i bigoli, che sono degli spaghetti grossi con superficie porosa, presenti nella cucina veneziana fin dal 1300, con un condimento povero ma gustoso a base di sardine (o acciughe salate), cipolla bianca e olio. Il secondo piatto è il merluzzo, quello che viene dai mari del Nord, che in Veneto si chiama baccalà, mentre nelle altre regioni, giustamente, viene chiamato “stoccafisso”, che a Treviso viene preparato “in umido” con chiodi di garofano e cannella accompagnato dalla polenta. La storia del baccalà è particolarmente curiosa: si dice infatti che nel 1400, il capitano di mare della Serenissima Piero Querini, sia naufragato nell’isola di Røest, la più remota delle Lofoten, a causa di una tempesta e al sua ritorno a Venezia abbia portato con sé questo ingrediente, che soppiantò il tonno, che all’epoca veniva pescato in abbondanza dalle tonnare mediterranee. Addentrandoci nel Friuli, invece, non possono mancare le trippe in umido.

Passando poi al pranzo di Natale nelle tavole trevigiane il pasto inizia sempre con un tagliere di affettati tipici della zona e verdure sottaceto, seguito da minestra di riso (come i risi in brodo con i fegatini), sostituita negli anni dal risotto, da quello classico alla trevisana, con il radicchio rosso di Treviso, per concludere con altre preparazioni più elaborate.

Come secondo è immancabile il lesso. Che sia gallina, cappone, manzo o, la più prelibata, lingua salmistrata, viene sempre accompagnato da svariate salse, tra le quali il cren, la salsa verde e la mostarda veneta, a base di mela cotogna, frutta candita e senape forte. In Friuli invece come primi piatti ci sono i cjarsons, mentre nel triestino si trovano gli gnocchi di susine e la jota, che è una minestra di origine mitteleuropea a base di fagioli, crauti e patate, mentre tra i secondi non può mancare il muset e brovade, ovvero il musetto con le rape macerate nelle vinacce e successivamente stufate.

A conclusione del pranzo troviamo i dolci tipici: la pinza, nel trevigiano, poi relegata solamente alla festa dell’epifania e sostituita dal panettone e dal pandoro. La ricetta è talmente antica che l’etimologia della parola è incerta (anche se si pensa sia la stessa della pizza, ovvero pinsere, quindi “schiacciare) e gli ingredienti sono semplicissimi: farina di mais e di frumento, fichi secchi, uvetta, gherigli di noci, semi di finocchio e grappa. Ne esistono due varianti: quella lievitata, diffusa nella destra Piave, e quella non lievitata, diffusa nella sinistra Piave, ma entrambe venivano avvolte nelle foglie delle verze e cotte sotto la cenere dei focolari. In Friuli Venezia Giulia, invece, c’è la gubana, una pasta dolce lievitata farcita con noci, uvetta, pinoli, zucchero, scorza di limone e grappa.

E dopo aver parlato di queste ricette dei nostri nonni, non vediamo l’ora che sia Natale.