I Templari, questi sconosciuti. Un nome che, mitigato dalla famosa serie di videogiochi di Assassin’s Creed, tra i più giovani sembrerebbe riferirsi quasi a una setta occulta, malvagia e spietata, diffusa ancora oggi in tutto il mondo, che cospira per il dominio assoluto.  Che dire allora della seconda immagine, quella più romantica e storica del favoloso tesoro dei Templari? O quella del santo Graal, alla base del film “Indiana Jones e l’ultima crociata”? Fa sorridere ma la fantasia e il mito superano di gran lunga la realtà.

Nello stesso anno [1118], alcuni nobili cavalieri, pieni di devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio, rimettendosi nelle mani del signore patriarca [di Gerusalemme] per servire Cristo, professarono di voler vivere perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e l’obbedienza e rifiutando ogni proprietà.

Questa la descrizione della nascita dei Templari secondo Guglielmo, arcivescovo di Tiro (1174-86), un ordine monastico-militare nato con lo scopo di proteggere i pellegrini diretti in Terrasanta e di difendere il Regno di Gerusalemme, nato dalla Prima crociata del 1099. Si trattava di cavalieri laici, spesso analfabeti, che volevano rendersi monaci senza abbandonare la via delle armi e che, per questo motivo, erano visti con perplessità dalla Chiesa.

Spietati in guerra ma tolleranti in tempo di pace nei confronti degli infedeli islamici, l’Ordine si dimostrò abile anche in campo economico: poiché difendere i pellegrini e mantenere le truppe e i possedimenti d’Oltremare aveva un costo non indifferente, i Templari cominciarono a creare e gestire, non solo in Europa ma anche nelle terre sottratte agli islamici, delle grandi aziende agricole allo scopo di provvedere da sé ai rifornimenti di prima necessità e agli introiti economici grazie al commercio di ciò che producevano.

Queste aziende, per esistere, si basavano sulle donazioni (di terra e materiali) all’Ordine da parte dei potenti e ben presto divennero lo strumento principale della potenza economica templare, al punto che i cavalieri concedevano prestiti persino ai sovrani d’Europa che ne facevano richiesta. La produzione alimentare, in genere, era di cereali e legumi, ma non si disdegnava la vite e il vino, senza contare l’allevamento di buoi, bufali, pecore e capre.

Una di queste aziende agricole venne fondata anche in Friuli, a San Quirino, poco dopo la nascita dell’Ordine: una mansio Templi che ancora oggi dà il soprannome al borgo di “Terra dei Templari“. Localizzata lungo la strada per Pordenone, una via secondaria ma piuttosto trafficata nel medioevo, tale azienda, formata da un insieme di concessioni private, era sorta sul fervore religioso e culturale che animava le terre friulane, notoriamente luogo di transito, all’epoca delle Crociate. A favorirne la comparsa era l’interesse dei duchi di Stiria e Carinzia a popolare l’alta pianura friulana per il controllo dei loro possedimenti sparsi (quali, ad esempio, Pordenone o Cordenons): la presenza di un tale centro religioso rappresentava una garanzia di sicurezza socio-economica in più.

La proprietà templare a San Quirino accrebbe con la Terza crociata. Caduta Gerusalemme nel 1187, poco prima della partenza delle truppe cristiane intenzionate a ri-liberare la città dagli islamici, Ottocaro VI, Duca di Stiria, impossibilitato a prendere parte alla spedizione causa la lebbra che lo aveva pesantemente debilitato nel fisico, volle parteciparvi in maniera alternativa: egli donò la giurisdizione di alcuni suoi possedimenti nei dintorni all’Ordine, separandoli dal resto del suo dominio pordenonese (o del Naone, come ci si riferiva al territorio dell’epoca).

Decenni più tardi l’intero villaggio di San Quirino sarebbe stato amministrato dai Templari, complice lo sviluppo dei commercio e dei trasporti della vicina Pordenone, estendendo passo passo il loro controllo economico-commerciale anche verso Castions. Ciò non risultò gradito al vescovo di Concordia Otto II, il quale, avendo tutti gli interessi che l’Ordine non si espandesse più di tanto, si adoperò per fare in modo che esso non si ingrandisse troppo a discapito della stessa Castions e della vicina Cordenons. Una questione, questa, che poi fu portata all’attenzione del duca Leopoldo VI, succeduto a Ottocaro, il quale a sua volta ordinò una risoluzione circa i confini e le proprietà.

I Templari sanquirinesi, in ogni caso, accrebbero sempre più di prestigio, al punto che nel 1227 il precettore dell’Ordine locale, tale frate Giovanni, prese parte a una riunione delle Case templari dell’Italia settentrionale svoltasi a Parma. Aumentavano di pari passo anche le ricchezze: quasi un secolo più tardi, nel 1305, frate Cristiano si impegnò ad incrementare i profitti e i beni di San Quirino acquistando due grandi mansi presso San Michele di Piave (oggi Cimadolmo) e Ormelle. Un simbolo non solo della sempre maggiore ricchezza accumulata dall’Ordine ma anche dei tempi in mutamento.

Tali operazioni tese al profitto infatti erano cominciate verso la fine del 1200, nel momento in cui non fu più necessario inviare rifornimenti e aiuti alle truppe in Terrasanta. Così, agli inizi del XIV secolo, lo sguardo si era sempre più rivolto alla creazione e allo sfruttamento in sé delle ricchezze, allontanandosi dalla spinta ideale e religiosa che aveva generato l’Ordine. Non è quindi un caso che il loro destino, particolare e internazionale, fosse segnato: fu il re di Francia Filippo il Bello ad avviare l’effetto domino che avrebbe portato alla fine dell’esperienza templare, allorché, indebitato fino al collo con l’Ordine francese, con il quale già non aveva buoni rapporti, decise di incamerare i loro beni, facendo arrestare i cavalieri con l’accusa di sodomia, eresia e idolatria. Accuse comprovate da confessioni ottenute sotto tortura: come si sa, tutti sono capaci di confessare così azioni mai commesse.

Il clima di ostilità verso l’Ordine in Friuli fu un semplice riflesso di ciò. La Chiesa mal tollerava il fatto che un ordine religioso potesse possedere così tante ricchezze e pertanto aveva predisposto, conseguentemente a quanto era avvenuto in Francia, la soppressione generale dei Templari nel Nord Italia, trovando però resistenze presso l’incaricato del processo d’accusa, l’arcivescovo di Ravenna Rinaldo di Concorezzo. Nonostante il religioso li avesse tutti assolti e avesse condannato la tortura come mezzo per ottenere una confessione, con la bolla pontificia Vox in excelso del 3 aprile 1312, l’Ordine venne definitivamente soppresso.

E le proprietà di San Quirino? Con buona probabilità, nel 1308, lo stesso anno dell’inizio della persecuzione di Filippo il Bello, la precettoria era già stata occupata dal capitano di Pordenone Federico per conto dei duchi d’Austria, come pure buona parte dei possedimenti periferici erano caduti nelle mani dei nobili di Spilimbergo e di Villalta. L’ultimo precettore templare, il suddetto frate Cristiano, fu tradotto in uno stato di semi-libertà al castello di Pordenone, venendo poi interrogato dai legati dell’arcivescovo di Ravenna in merito ai possedimenti templari da lui governati. Dai documenti dell’interrogatorio sappiamo che in totale l’Ordine possedeva una sessantina di mansi, quaranta campi, prati e i mulini di San Quirino e Castions, questi in grado di fruttare direttamente denaro dal loro utilizzo; senza contare che gli abitanti di San Quirino erano tenuti a compiere determinati lavori obbligatori presso le proprietà locali.

Terminato il processo e sciolto l’Ordine templare, i possedimenti vennero affidati inizialmente al priore di San Michele arcangelo di Porcia, una fondazione monastica e ospedaliera legata ai conti di Porcia, quindi al più importante Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme, meglio noto come Ordine degli Ospedalieri, il quale però non riuscì ad incorporare del tutto i possedimenti della precedente gestione templare, complice la nobiltà locale e il suo sempre enorme appetito di ricchezze. Esemplare fu il caso di Castions, definitivamente incorporato nei possedimenti dei conti di Porcia e mai restituito ad alcun ordine religioso.

Per approfondire, suggerisco: Roberto Castenetto e Luca Gianni, Storia di San Quirino, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone 2010.

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