Periferie. Questo è il titolo della raccolta di poesie di Carlo Selan, edita da Campanotto Editore Poesia. Periferie. Un titolo che di primo acchito suona familiare, rassicurante, che sembra carezzare il lettore cullandolo nel quieto tepore della quotidianità.

Eppure si provi a ripeterlo, si provi a guardarlo con l’anima: sta tremando. Periferie è un titolo nudo e villano, che con la caparbietà fredda e disincantata di un adolescente scontroso ci trascina nella sua atroce afa di vivere, e s’arrabbia perché non abbiamo il coraggio di annaspare con lui, e di vivere e condividere con lui la sconfinata insondabile immensità del vuoto.
“DISERTORI”, l’icastico titolo dell’introduzione, pende sul lettore come una sfida solenne ma carica di rassegnazione beffarda.

“Ero il brivido di sentirsi persi. Scioperare l’esistenza come forma di protesta, anarchismo della forma, rinuncia al contenuto”. Questo pensiero breve, all’apparenza immediato, ma adombrato, nella sua intimità, da un mistero selvaggio e inquieto, è un elegante compendio dei due principali temi poetici della raccolta: protesta irriverente e rinuncia, due facce antitetiche e sublimemente complementari.

La periferia, nelle poesie di Carlo Selan, è un non-luogo che ci disorienta con il suo essere tremendamente reale, “il volto freddo del dolore / uno stupro di cemento e respiri tersi”, e il cui silenzio fa vibrare di rabbia inascoltata, che si traduce nei “suicidi d’inchiostro”, la poesia, una vendetta contro il silenzio, contro l’ammorbante grigiore inarrestabile dei palazzi e dei passanti: “E comporre disegni che sembravano dettati celesti di un dio minore, versi sacri di amori profani, a volte spingersi fino al muro più alto, solcare i palazzi, lasciarsi cadere”.

Negare la vita significa ri-conoscerla, significa possederla intimamente ed eternamente, e questo può la poesia: possedere, in senso non fisico ma esistenziale, ed eternare, al di là di qualsiasi forma ragionata e qualsiasi convenzione sociale; la poesia si manifesta nei tratti di una tensione titanica, nel senso che è intrinsecamente votata alla sconfitta, come i Titani nella mitologia greca, ma proprio per questo è il più nobile e caparbio oltraggio alla vita -attraverso la vita: “So di un coraggio che è più grande / volto alla sconfitta, senza speranza, / di un vivere in rivolta, come suicida, / come l’arte potesse davvero carpire, / esaurire in un gesto il senso, l’eterno / la morte, l’amore, tu, la vita

La poesia di Selan è come un lampo, un frammento di realtà improvviso, sconcertante e totale: ci appare nudo e villano come il titolo, e noi non possiamo controbattere, non possiamo contestarlo perché quel lampo è già entrato in noi, -perchè è sempre stato (in) noi.
Un libro di una docilità sanguinaria, uno squarcio nelle nubi, un ruggito di luce, un’epifania: un libro che vuole essere letto e vissuto affinché impariamo a leggere e vivere noi stessi.

Breve cenno biografico: Carlo Selan nasce a Udine nel 1996 e già da giovanissimo inizia a scrivere racconti e poesie. Finiti gli studi superiori presso il Liceo Scientifico “G. Marinelli” di Udine, nel 2015 si iscrive alla facoltà di Lettere presso l’Università di Trieste. Nel 2014 ha vinto il Premio Sgorlon Giovani per la narrativa, e nello stesso anno il Premio Terzani per le scuole superiori nella sezione “racconti e narrative”.

Periferie è la sua prima raccolta di poesie pubblicata, ed è disponibile online su bis.it e Mondadori Store. Presto sarà reperibile in alcune librerie a Udine.

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