Qui in Friuli si è soliti ricordare il Patriarcato di Aquileia come il più glorioso periodo della nostra storia regionale, a volte mitizzando la sua esperienza ergendola a simbolo di unicità culturale ed autonomia politica. Nata dalla lotta per le investiture, sul progetto del patriarca Poppo di restituire ad Aquileia gli antichi splendori, e sviluppatasi a partire dalla concessione in feudo del Ducato del Friuli da parte dell’imperatore germanico Enrico IV al patriarca Sigeardo nel 1077, la Patria conobbe la sua massima estensione territoriale in poco tempo, con la donazione, sempre da parte dell’Impero, delle marche della Carniola e dell’Istria (territori questi che risultarono però di difficile controllo, al punto da venir a loro volta feudi quasi autonomi del Patriarcato).

L’autorità temporale del patriarca però sarebbe stata per circa quattro secoli costantemente insidiata dalle varie signorie feudali e municipali del territorio. Per meglio capire come funzionava il sistema di governo, dobbiamo abbandonare l’idea che vi fosse uno stato unitario pienamente sovrano come noi lo intendiamo. Il medioevo è noto per essere l’epoca del feudalesimo: semplificando, si trattava di un sistema economico e politico verticale, dove un signore terriero più debole, che a sua volta riceveva proventi da altri feudatari suoi sottoposti, si poneva al servizio di uno più forte. Alla base vi era la più numerosa comunità di contadini, liberi e non, che lavorava al mantenimento del possesso.

In un’immagine, possiamo considerare il sistema statale medievale come un mosaico i cui tasselli sono composti da tasselli più piccoli e al cui centro del disegno complessivo c’è una figura dominante (un re, un principe, un duca, un imperatore o anche un papa). Nel caso del Patriarcato, nei primi tempi a essere protagoniste furono le signorie di banno, o territoriali, fedeli ed elettori del patriarca ma aventi una loro giurisdizione sul territorio. La Patria, come è noto, aveva nell’elezione di quest’ultima figura il punto fermo della sua amministrazione. Un’elezione che però, a causa dei diversi interessi della nobiltà e delle città friulane e giuliane, altre grandi protagoniste, scaturiva in crisi ricorrenti a ogni successione.

I problemi del Patriarcato non erano solo interni: acerrimi nemici erano i vicini conti di Gorizia, potenti feudatari tedeschi che riuscirono ad acquisire numerosi possedimenti lungo tutto l’arco alpino, dal Brennero al Quarnaro e che avevano tutto l’interesse a creare instabilità nella Patria per poter accrescere i loro domini. Una sorta di divide et impera che funzionò fino a un certo punto: con l’inizio dello scontro tra guelfi (fedeli al papa) e ghibellini (fedeli all’imperatore) all’inizio del XIII secolo, il Patriarcato decise di optare per lo schieramento papale allo scopo di meglio tutelarsi dalle continue minacce dei conti. Di fatto, si preferì incentivare lo sviluppo autonomo delle comunità cittadine, elargendo loro privilegi economici e ordinamenti civici, piuttosto che la nobiltà locale in massima parte schierata a favore dell’imperatore. Questo processo, seppur in ritardo rispetto al resto d’Italia, fu alla base della formazione dei primi Comuni in Friuli e dell’istituzione del famoso Parlamento della Patria, espressione di una prima coscienza politico-territoriale friulana.

Lo scontro con Gorizia si ebbe più volte nel corso del 1200 anche su altri fronti, come nel tentativo di entrambe le parti di accaparrarsi i diritti sull’entroterra istriano e in particolare sulle città costiere, le quali, ironicamente, preferirono porsi sotto il controllo di un altro grande protagonista di questo periodo: la Repubblica di Venezia. La Serenissima, che possedeva la laguna di Grado, già da tempo mirava al controllo di tutte le coste dell’Adriatico settentrionale e orientale: infatti nel corso del XIII secolo, favorita dalle rivalità feudali, avrebbe gradatamente assunto il controllo dell’Istria costiera, da Capodistria a Pola. Alla sua collezione avrebbe però mancato Trieste, la quale, non riuscendo ad affidare la sua protezione al Patriarcato, nel 1382 per sfuggire al dominio veneto preferì porsi sotto la protezione di altri grandi protagonisti di questo scacchiere regionale: i duchi d’Austria, già signori di Pordenone, intenzionati più che mai ad avere uno sbocco sul mare.

La sempre maggiore presenza degli Asburgo favorì il passaggio della ormai debole contea di Gorizia sotto il loro dominio, poiché molti feudatari dei conti preferirono schierarsi dalla parte dell’ascendente potenza austriaca. Ciò non corrispose a un affievolimento della pressione sul Patriarcato, al contrario: anche il patriarca perdette dei feudatari, vedendosi costretto a cedere ai duchi i castelli di Carinzia, Stiria e Carniola (1360), oltre che le più importanti vie d’accesso alla Penisola. Unitamente alle continue spinte centrifughe interne, ciò non fece altro che indebolire la struttura di potere amministrativo patriarcale, ponendo le basi a un inevitabile declino: a differenza delle città costiere istriane, completamente assoggettate a Venezia, i comuni del Patriarcato, favoriti dalla loro autonomia, cominciarono a farsi portavoce autonomi di interventi stranieri per far valere i loro interessi.

La crisi definitiva infatti scoppiò nel 1382, quando il papa, considerando il Patriarcato come un possedimento ecclesiastico a sua disposizione, fece eleggere un suo patriarca. Così facendo provocò la reazione della capitale della Patria, Udine, la quale, appoggiandosi a Venezia assieme ad altre comunità, per salvaguardare l’onore dello stato friulano costituì la Foederatio felicis unionis, una confederazione a scopo difensivo. Dopo questa prova di forza e la successiva la rinuncia del patriarca nominato da Roma, il suo successore, Giovanni di Moravia, cercò di ristabilire l’autorità patriarcale riducendo i benefici municipali a quei comuni che si erano ribellati assieme a Udine. Ciò non gli riuscì, poiché finì ucciso in una congiura.

A sua volta, il vescovo di Concordia, Antonio Panciera, succeduto a Giovanni, tentò di porre freno all’anarchia imperante affidando la protezione del Friuli a Venezia, finendo per questo deposto da una lega anti-veneta promossa da Cividale. In  questa situazione di caos, per tutelare i suoi interessi, intervenne pure l’imperatore, che nel 1409 inviò in Friuli il suo esercito.

Venezia intanto, sempre più impegnata nella sua nuova politica di terraferma, non nascondeva più il suo interesse per il Friuli: la conquista della regione era funzionale a garantire una buona copertura difensiva ad Oriente. Nel 1411, con i suoi alleati friulani, la Serenissima promosse una federazione filoveneta contro cui l’imperatore inviò, a difesa del nuovo patriarca di origine ungherese Ludovico di Teck, le sue milizie provenienti dall’Ungheria. Le violenze di queste ultime fecero precipitare la situazione, al che, a partire dal 1418, sempre più nobili e città preferirono sottomettersi spontaneamente a Venezia e alle sue armate in cambio della conferma dei loro privilegi e/o dei loro statuti municipali.

Alla fine del 1420 tutto il Friuli era sotto il controllo veneziano e la Serenissima procedette all’annessione ufficiale del territorio ai suoi domini di terra. Non essendoci più un governo indipendente ed esautorato dai suoi poteri il Parlamento della Patria (che tuttavia continuò ad esistere formalmente per lungo tempo ancora), cessava così l’autorità temporale del Patriarcato di Aquileia. Il patriarca Ludovico, ormai spodestato e profugo in Germania, supportato dalle vibranti proteste imperiali verso Venezia, tentò più volte di ripristinare il suo potere scendendo con milizie ungheresi attraverso le valli del Carso, ma fu ogni volta respinto.

Con la sua morte la Serenissima poté intavolare una difficile trattativa con l’Impero che si concluse soltanto nel 1445 e senza un definitivo riconoscimento imperiale della conquista. Il nuovo patriarca aquileiese di origine veneta, Ludovico Scarampo Mezzarota, legittimò l’annessione di 25 anni prima e la possibilità, da parte della Repubblica, di nominare i patriarchi. In cambio essi mantennero una certa autorità temporale su Aquileia, San Daniele e San Vito al Tagliamento, senza però alcun titolo di possesso sui feudi che, ovviamente, spettavano a Venezia. Il tutto previsto in un documento il cui nome suona più come un contratto di cessione economica che non di conferma giuridica: la Transazione di Venezia

 

Foto: Udinetoday.it

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