In un’isola greca, la pelle della notte sbucciandosi rivela i raggi del sole nascente, che abbagliano e accelerano il polso del mare. L’ombra contorta degli ulivi e quella sbrindellata della vite si susseguono sulle colline. Migliaia di insetti, rettili, uccelli e mammiferi popolano sponde ed entroterra.
Chi si insedierà in questo paradiso caldo e assolato?

Qualcuno che arriva da un posto freddo e umido: una famiglia inglese. Non una famiglia qualsiasi: una madre e quattro giovani figli, tra loro diversi almeno quanto i satelliti di Giove. Larry, 23 anni, letterato con la puzza sotto il naso; Leslie, 19, cacciatore sanguinario; Margo, 18, dolce narcisista e infine Gerry, 10. L’autore del libro è proprio Gerry, o meglio Gerald Durrell, che in questa autobiografia racconta di quando aveva dieci anni, nel 1935, e assieme alla famiglia si trasferì a Corfù, isola al confine tra Albania e Grecia. Passare la dogana non sarà facile, né all’andata né al ritorno; altre difficoltà attendono i “lord” all’arrivo.
Primo problema: trovare una villa con stanza da bagno, esemplari più unici che rari.
Secondo problema: adattare la villa alle esigenze del momento, specialmente se si è intenzionati a ricevere ospiti o se bisogna sventare l’arrivo imminente di parentele non volute.
Terzo problema: fornire a Gerry un’istruzione, che argini e indirizzi la sua sfrenata passione per gli animali e la natura tutta. Questa passione fa sì che i familiari corrano un pericolo di morte costante, dovuto ad esempio a degli scorpioni nella scatola dei fiammiferi o a serpenti nella vasca da bagno. Durrell racconta con una deliziosa vena umoristica quel che accade sull’isola, durante le sue avventure e anche in casa, poiché la sua famiglia, dopo aver fatto capolino nel primo capitolo, non ha dato segno di volersi schiodare dalla narrazione.
Addentrandoci nel folto del racconto assistiamo col cuore in gola ad un combattimento tra un geco e una mantide (“la quintessenza del male”), alla scoperta di piccoli buchetti invisibili che si aprono come botole e alla sparizione di un gabbiano gigante e malefico (“mi sarei venduto l’anima per un gabbiano come quello”), mentre una comitiva di ospiti si accomoda al ricevimento in casa Durrell.

I ritratti che emergono dalle parole di Gerry, sulla madre e i tre fratelli, sono fin troppo schietti e inceri, col rischio di far stramazzare il lettore dalle risate. Mentre Leslie semina il panico per la villa a causa di un brevetto testato contro i ladri, Margo versa del brandy sulle fiamme e Larry continua a dispensare saggezza non richiesta, Gerry e il fedele cane Robert ne approfittano per portare a casa qualsiasi tipo di bestia che attiri o affascini il bambino. In questo lo aiuta anche Spiro, la spalla del gruppo, un greco che ha vissuto otto anni a Chicago, il quale arriverà anche a trafugare delle bestiole dal giardino reale; è soprattutto Theodore, però, naturalista e amico di Larry, a guadagnarsi la stima e l’amicizia di Gerry, regalandogli un microscopio e accompagnandolo, armati di retino, durante qualche escursione. Un altro grande regalo arriverà inaspettatamente, sulle sponde del mare, da parte di un detenuto, incontrato da Gerry mentre cercava di acchiappare una tartaruga.
I detenuti, a Corfù, il week-end rientrano a casa. Corfù, dove la gente anticipa l’arte, rubando il mestiere ai più arditi raccontastorie. Corfù, dove il vino è sangue di drago, l’aria è piena di sonno, i crochi si precipitano a cascata giù dagli argini e gli scarabei vestono come uomini d’affari. Immergetevi anche voi in questo bizzarro paradiso.

Tutti i pomeriggi mamma andava a fare una passeggiata con i cani, e per noi figli era un vero divertimento assistere a quel pellegrinaggio lungo il pendio. Roger, in quanto cane anziano, marciava alla testa della processione, seguito da Pipì e da Vomito. Poi veniva mamma, con in testa un enorme cappello di paglia che la faceva assomigliare a un fungo ambulante, e in mano una grossa paletta per scavare tutte le piante selvatiche interessanti che trovava. Dietro di lei zampettava Dodo, con gli occhi sporgenti e la lingua penzoloni, e Sophia chiudeva il corteo, avanzando con andatura solenne e portando il cucciolo imperiale sul cuscino. Il Circo di mamma, lo chiamava Larry, e la faceva arrabbiare gridando dalla finestra:
“Ehi, signora, a che ora si tira su il tendone?”