Che ci fai qui?, ti domandano. Dove stai andando? Hai la sensazione di essere osservato da cose di cui non conoscevi l’esistenza. Di essere tu, l’elemento di disturbo. La sensazione che la vita intorno stia formulando sul tuo conto un giudizio a partire da punti d’osservazione a te ignoti.

 

Personaggi che percorrono la vita in punta di piedi, sfiorandone distrattamente i contorni, procedendo velocemente e quasi guardandosi vivere; anime temporaneamente in quiete, come un’onda congelata a pochi passi dalla battigia, costretta ad un immobilismo che per natura non le si addice e che sfida persino le leggi della fisica. Pensieri esplosi e dissoltisi nel rumore bianco di quello che c’è intorno, la poesia nella più semplice (e vera) delle vicende umane.

 

Uscirne vivi: è questo il titolo della tredicesima raccolta di racconti di Alice Munro, come se la vita fosse qualcosa da inventare, con leggerezza e sobrietà; qualcosa da raccontare, per perdonarla e perdonarsi, per vedere nell’ordinario nulla di così poco degno da non poter essere anche straordinario. Una lezione importante per tanta narrativa moderna, ma soprattutto per il lettore: asciutta e implacabile, secca ma nient’affatto arida, completamente spogliata di artifici formali, la prosa di Munro ci insegna a rinunciare all’intreccio e alla facile distrazione, per spingerci ad una pacata e lucida riflessione sulle contraddizioni (e la bellezza) del vivere. Un candore e una pulizia del tutto umani, cicatrici su corpi e cervelli costantemente tesi verso il prossimo slancio, ma immortalati in istantanee paralizzanti.

 

I personaggi pensano, parlano e agiscono come se i fatti narrati (non sempre in prima persona) fossero reminiscenze di un passato estremamente vago, dai contorni confusi, ma non per questo meno chiari e presenti; si scusano, inciampano, salgono su un treno, si annientano, tolgono e indossano maschere.

La delicata e sfuggente protagonista di Amundsen guarda all’amore per la prima volta e lo racconta con rassegnazione e dignità, come se una minuziosa descrizione dei propri sentimenti potesse essere superflua, oltre che impossibile da realizzare: leggiamo l’essenziale, il fatto puro, la disarmante semplicità della vicenda.

In Ghiaia una donna dipinge con lucidità l’evento che ha segnato la sua infanzia, riducendolo ad un attimo cristallizzato che la tormenterà per tutta la vita.

L’inafferrabile protagonista di Treno vive la vita da spettatore, trascinandosi da un evento all’altro, in perenne fuga da se stesso; un’anima priva di corpo, persa e mai ritrovata, spietatamente sfuggente e, a tratti, impietosa come nessuna.

L’anziana donna di In vista dal lago esplora i contorni della pazzia, anche se nell’ambiente oscuro e ovattato del sonno, appigliandosi ad un passato che non ritornerà.

 

I dieci racconti iniziali lasciano poi spazio a quattro personalissime istantanee, che l’autrice usa per rappresentare la propria infanzia e giovinezza; è vita vera, non finzione, ma il confine è davvero difficile da individuare. Riflessioni di pura e sottile bellezza, private e personali, che devono la loro forza alle sfumature con cui vengono raccontate, innumerevoli e spesso inusuali.

 

Una raccolta da leggere tutta d’un fiato, con il cuore in gola, tenendosi pronti al salto; pagine di rarissima sensibilità, profondamente autentiche, assolutamente impossibili da riprodurre.

 

Alice Munro, Uscirne vivi – 2014, Einaudi – 312 pagine

 

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