E pensare che cent’anni fa qui, non lontano da Trieste si combatteva. Si combatteva per queste terre, per questi sassi, per questa Bora. Se c’è una cosa che non ho mai capito è come mai molti miei coetanei di allora decisero di farsi ammazzare, di ammazzare e di continuare la loro gioventù nell’esercito, in trincea, nei buchi, armati al massimo di un elmo e di una baionetta. Per cosa poi? Questi grumi di sassi? Questa città? Questa virgola nella penisola balcanica? Ho appena letto su L’Oppure la vita di un altro grande patriota che è morto in queste terre: era italiano, non era triestino, a differenza degli altri Slataper, Stuparich e nemmeno giuliano come Sauro. Coincidenza vuole che anche lui avesse un cognome che iniziasse con la S: era Renato Serra.

A differenza degli altri quattro protagonisti già conosciuti, Renato non nasce nè a Trieste nè in Istria o nella Venezia Giulia ma bensì a Cesena nel 1884 da una famiglia benestante e di tradizione risorgimentale: suo nonno materno, ad esempio, fu un patriota durante le Cinque Giornate di Milano. Questo ambiente sociale e ideologico lo fece entrare, dopo essersi diplomato al Liceo Ginnasio di Cesena a soli 16 anni per la sua ottima preparazione, all’Università di Bologna dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia, avendo la fortuna di assistere le lezioni del premio Nobel Giosuè Carducci. Pochi anni dopo, nel 1904 si laureò con una tesi sullo “Stile dei Trionfi del Petrarca”.
Poco tempo dopo torna nella sa Cesena, dove svolse il servizio militare, per poi trasferirsi, una volta conclusa la naja a Torino dove iniziò a creare, per Paravia editrice il dizionario Italiano-Latino. Successivamente si inserisce nel circolo dei vociani dove entrò in contatto con Giuseppe Prezzolini e Giuseppe De Robertis e intraprese una corrispondenza col filosofo liberale Benedetto Croce.

Dopo essere entrato in uno dei circoli intellettuali più interessanti e brillanti dell’epoca, la Biblioteca Malatestiana di Cesena gli affidò la direzione e nel 1910 viene citato sulla rivista La Romagna come uno dei pensatori più promettenti nel panorama nazionale.
Sempre stato un nazionalista fin dall’infanzia, gli studi universitari con Carducci lo fecero rendere anche un tradizionalista nella forma e nello stile letterario fino a quando nel 1915 l’Italia non entrò in guerra.
Da nonno patriota e da romagnolo sanguigno, da letterato nazionalista e di formazione intellettuale idealista, Renato si arruola volontario all’età di 29 anni, forse anche per dimenticare un amore non corrisposto. E proprio durante questo tremendo conflitto bellico che Renato scrisse forse uno dei capolavori della letteratura Italiana poco conosciuti: l’Esame di coscienza di un letterato in cui scrive:

Dietro di me son tutti fratelli quelli che vengono, anche se non li vedo e non li conosco bene. Mi contento di quello che abbiamo in comune, più forte di tutte le divisioni. Mi contento della strada che dovremo fare insieme e che ci porterà tutti ugualmente; e ci sarà un passo, un respiro, una cadenza, un destino solo. […] Non c’è tempo per ricordare il passato o per pensare molto, quando si è stretti gomito a gomito, e c’è tante cose da fare; anzi, una sola, fra tutti. Andare insieme.

Giunto al fronte il 5 luglio, ancora sofferente dopo aver avuto un incidente automobilistico qualche settimana prima, viene inquadrato col grado di tenente e combatté col proprio reparto nel settore del Podgora, partecipando alla Seconda e alla Terza battaglia dell’Isonzo.
Qui cade durante un combattimento il 20 luglio 1915 a soli trent’anni di età.

Sicuramente l’esperienza della guerra lo avrebbe cambiato parecchio e chissà, avrebbe aperto una nuova corrente letteraria assieme a un altro scrittore che, come lui, ha deciso di arruolarsi in guerra per poi scoprire la precarietà della vita umana, la sua violenza e allo stesso tempo la sua fragilità.
E invece no. E invece Renato Serra è morto, in maniera simile a un altro grande artista, Umberto Boccioni: anche lui artista, anche lui giovane, anche lui un ragazzo che vedeva nella guerra un atto laico di purificazione.
La Guerra di trincea sul Podgora e sull’Isonzo, lo scegliere di arruolarsi volontario per ammazzare e farsi ammazzare, la vita in trincea, le incursioni notturne, la morte dei compagni, degli amici e dei fratelli, la guerra che diventa una normalità, lo scrivere per non impazzire e per mantenersi uomini.

 Altre cose che la mia generazione non capirà mai.

Altre cose che io non capirò mai.

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