Il credere è un atto fondamentale della vita di un uomo: si può credere in Dio, alla religione, a un’altra persona e, soprattutto, a un ideale. Per esso si deve combattere, utilizzando appieno le proprie capacità e i propri talenti. Un uomo che non si adopera così è servo dei suoi pari. Con questa premessa il poeta Davide Rondoni, nel presentare il suo ultimo romanzo “E se brucia anche il cielo”, pone una riflessione usando come esempio tra i tanti la vita e le imprese di Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana durante la Grande Guerra; un esempio di valore, coraggio e sacrificio che oggi pare più come tipico di un racconto fiabesco, piuttosto che reale.

 
Cosa spingeva un giovane romagnolo, abile nel violoncello, primo possessore di un “motore” (motocicletta, nella parlata romagnola) a dare la vita per combattere una guerra già allora definita inutile? Cosa poteva infatti pensare un qualunque soldato, spedito a combattere sulle Alpi perché un serbo (senza mai aver sentito parlare di chi o cosa fosse Serbia!) aveva ucciso un principe ereditario di un’altra nazione? Per noi, nel nostro tempo, è quasi impossibile comprendere una tale scelta: viviamo in un mondo in cui vige l’assoluta preservazione della nostra vita. Infatti ci preoccupiamo solo di come tirare avanti, dello stipendio al lavoro, della pensione a fine mese, tendendo sempre più a chiuderci a riccio se sopraggiunge un qualche serio problema al mantenimento di questa linea.

 
C’è però chi invece, quasi come una provocazione, non si preoccupa minimamente di salvaguardarla, ponendola al servizio di un’ideale. Per Baracca esso poteva essere la bellezza, la patria, l’onore, o anche la cavalleria, come racconta un episodio della sua vita: in pieno conflitto, egli, assieme ad un amico co-pilota, abbatte un aereo austriaco. In nome della cavalleria tra duellanti, i due piloti italiani decidono di atterrare per prestare soccorso al nemico abbattuto, senza però poter fare nulla: l’austriaco era morto sul colpo. Nelle sue tasche trovano un biglietto con su scritto che una “bella sconosciuta” gli aveva dato appuntamento la sera successiva in una taverna. Baracca, con sprezzo del pericolo, quella stessa sera decide di volare sopra le linee nemiche lanciando volantini in cui si avvisava che il tenente austriaco era morto e in cui chiedeva di avvertire la donna che il suo soldato non sarebbe venuto all’appuntamento.

 
Esempi di tale valore e sacrificio oggi sono assolutamente rari. Una rarità non solo in Italia ma anche nel resto del continente europeo. Estendendo il discorso all’attualità, Rondoni ha espresso alcune perplessità circa l’idea stessa che si ha dell’Europa, affermando che un’Europa culturalmente unita ha cessato di esistere proprio nel momento in cui scoppiò il primo conflitto mondiale; esistevano infatti dei canali di dialogo culturali e ideali tra nazioni che, con l’inizio della guerra, vennero totalmente distrutti e mai più recuperati, in particolare nel caso italiano con le potenze germaniche.

 
Tutto ciò che caratterizza l’unione del continente oggi si può riassumere nell’unione commerciale e monetaria: in sostanza, scomparsa la vera idea culturale, resta solo la salvaguardia dell’interesse economico a unire, ma anche a dividere, le varie nazioni, senza apportare alcun contributo ulteriore alla concezione di unità europea, utile a rendere di nuovo grande il Vecchio Continente nel mondo. Proprio come un uomo talentuoso che non combatte per i propri ideali e che è succube o servo dei suoi pari.

 
Non si tratta però di una situazione irrecuperabile: la scuola ha il dovere di correre in aiuto tramite un buon insegnamento, soprattutto della letteratura, ma non una letteratura accademica, nazionale o particolareggiata, adatta più a un compito che a una riflessione; una letteratura insegnata in maniera curiosa, tale da dare una sorta di input allo studente, in grado motivarlo e appassionarlo dopo gli studi alla lettura e alla scoperta di un mondo che può risultare molto più bello, vasto e avvincente di una puntata di X-Factor.

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