Circa un secolo fa, con la fondazione prima della Scuola di volo del Campo della Comina, la Pordenone di inizio ‘900 stava conoscendo un grandissimo fervore aviatorio. Non solo le visite delle autorità alla pista riempivano d’orgoglio l’allora piccola cittadina della Destra Tagliamento, ma anche nelle vetrine dei negozi si faceva sfoggio di fotografie, di souvenir, di stampe riguardanti quella recente innovazione tecnologica che nell’arco di pochissimo tempo aveva sfondato nei trend delle passioni del momento non solo dei cittadini ma anche dell’Italia e di tutto l’Occidente: l’aereo. La città insomma era diventata una sorta di luogo sacro dell’aviazione italiana, nata proprio in quegli anni, rendendosi famosa per questo in tutto il Paese.

Il 26 novembre 1910, mentre alla Comina venivano formati e licenziati i primi piloti, giunsero a Pordenone due pionieri dell’aeronautica italiana: il colonnello Vittorio Cordero di Montezemolo e il tenente di cavalleria Umberto Savoia (quest’ultimo era uno dei due italiani istruiti nel 1909 a Roma dall’inventore dell’aeroplano Wilbur Wright), entrambi  parte del Comando del Battaglione del Genio Specialisti, l’organo dell’esercito che all’epoca si occupava dell’aviazione militare. Visitata la Comina e le praterie di Aviano, nel pomeriggio ebbero un incontro al municipio di Pordenone con il rappresentante dell’amministrazione comunale, Gino Civran, e con i due principali esponenti del Comitato pordenonese per l’aviazione, Riccardo Etro e Uberto Cattaneo. Oggetto: trovare terreni adatti ad ospitare nuovi campi d’aviazione militare.

La proposta trovò subito risposta favorevole. Il 12 gennaio 1911 l’iniziativa per la fondazione di un campo nei pressi di Aviano venne assunta dal padovano Leonino da Zara, anch’egli grande appassionato del volo. Riuniti in una nuova assemblea tutti i rappresentanti delle comunità limitrofe, Zara spiegò i piani e l’utilità del progetto: Aviano sarebbe diventata ufficialmente la scuola di perfezionamento dell’aviazione militare italiana. Tuttavia con l’acquisto statale della Scuola della Comina, successivo di pochi mesi all’incontro, la funzione avianese sarebbe cambiata in insegnamento di base, spettando alla prima, sebbene destinata a diventare succursale, il ruolo inizialmente previsto per il nuovo campo.

Il Comune della città pedemontana procedette immediatamente a rendere disponibile un terreno pari a sette milioni di metri quadri al centro della vicina brughiera, avviando i lavori in poche settimane. Ultimata la costruzione dei capannoni, il Campo di Aviano entrò in funzione il 19 aprile, divenendo in poco tempo, per la sua grande estensione e frequentazione, il maggior centro aviatorio militare in Italia. Per dare un’idea della sua importanza basti pensare che una buona maggioranza di piloti che presero parte ai primi bombardamenti aerei della storia, nel contesto della guerra italo-turca del 1911-12, si era formata lì.

Nel Campo gli allievi erano alloggiati in comode camerette, in strutture speciali che contenevano pure la mensa e perfino una sala lettura. Nei pressi di questi edifici vi era pure un servizio di riparazione degli aerei, indispensabile poiché gli incidenti erano molti. Già nell’estate del 1911 l’officina era in piena efficienza al punto che un comandante d’aviazione francese lì di passaggio constatò come gli apparecchi costruiti e riparati in sede fossero più resistenti ed efficienti di quelli costruiti a Parigi.

Una curiosità: poco distante l’ingresso alla pista, in una gabbia di ferro, vi era rinchiusa un’aquila reale. Berta, così il suo nome, si era guadagnata il ruolo di mascotte all’interno del Campo, divenendo pure il portafortuna per eccellenza degli allievi, i quali, nell’omaggiarla ogniqualvolta prendevano il volo, le dedicavano ogni cura possibile.

Fino alla Grande Guerra, Aviano rimase il tipico campo-scuola. Gli aerei che venivano utilizzati facevano parte della serie “Blériot“, “Bristol“, “Etrich“, “Nieuport“, “Caproni“… tutti primitivi apparecchi in legno, metallo e tela ma che all’epoca erano il non plus ultra della tecnologia e della scienza aviatoria. L’altezza media di volo raggiungibile non era troppo elevata, circa 600-1200 metri di quota, con una velocità che non superava i 140 km/h, a quel tempo comunque non indifferente.

Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, data la vicinanza al fronte, il Campo, assieme a quello della Comina, fu utilizzato per ospitare le Squadriglie da bombardamento di aerei “Caproni” alle dipendenze del locale Comando Battaglione Aviatori di Pordenone. Da esso partirono molteplici missioni verso il Cadore e il fronte dell’Isonzo. Tra tutte una particolarmente famosa: nella notte dal 10 all’11 maggio 1917, un giorno prima dell’inizio della X Battaglia dell’Isonzo (12 maggio-4 giugno), un aereo “Caproni” Ca. 3, l'”Asso di Picche” n. 2378 dell’VIII squadriglia, decollò da Aviano senza autorizzazione con a bordo due piloti, il capitano Maurizio Pagliano e il tenente Luigi Gori. Al chiaro di luna, questi solitari aviatori raggiunsero e bombardarono nientemeno che la munitissima base navale austro-ungarica di Pola.

Fu una delle imprese più audaci mai svolte e riuscite fino a quel momento: poiché qualche loro collega, al corrente della loro rischiosa impresa, aveva diffuso la notizia della loro partenza, al rientro i piloti furono accolti con grande entusiasmo; appena messo piede a terra, non ebbero neanche il tempo di spostarsi di qualche metro dal veicolo che furono sommersi di domande, strette di mano e abbracci. Persino Gabriele d’Annunzio, che in quel periodo era a capo di una squadriglia di bombardieri ad Aviano, ne rimase estremamente colpito al punto da volere entrambi i piloti non solo nel suo squadrone ma anche come suo equipaggio. Con il poeta i due aviatori effettueranno diverse azioni, tanto da essere ricordati nel Notturno come “l’eroica coppia alata“.

D’Annunzio pure non voleva essere secondo a nessuno: studiata al dettaglio una nuova missione aerea, nella notte tra il 2 e il 3 agosto tre gruppi di bombardieri, per un totale di 20 aerei “Caproni”, comandati proprio dal Vate, presero il volo dal Campo per tornare a Pola. Lo scopo era lo stesso della missione precedente, solo compiuto in “grande stile”: fare più danni possibile alla base navale della città. Ben otto tonnellate di bombe vennero sganciate sull’arsenale e sulle strutture militari, procurando ingenti danni al nemico. L’operazione si ripeté la notte successiva con altrettanto successo e una terza volta, sempre in notturna, tra l’8 e il 9 del mese. In quest’ultima occasione parteciparono ben 27 aerei per un totale di 188 granate/mine sganciate sull’obiettivo.

Arrivò poi Caporetto. Il 5 novembre, in piena rotta dell’esercito italiano, il reparto di D’Annunzio fu incaricato di eseguire un difficile compito: distruggere il campo della Comina. Con grande tristezza e a malincuore il IV Gruppo di Bombardamento eseguì l’ordine di bombardare uno dei simboli più cari, quale era la loro Scuola, pur di non vederlo nelle mani degli austriaci. Le disgrazie purtroppo non finirono qui: il 30 dicembre, attaccato da cinque caccia nemici in risposta a un mitragliamento a bassa quota, l'”Asso di Picche” venne abbattuto vicino a Susegana e con esso Pagliano e Gori persero la vita. In loro onore, D’Annunzio si prodigò affinché i piloti ottenessero un riconoscimento postumo degno delle loro imprese: un anno dopo la fine della guerra, nel 1919, il nome del Campo d’Aviano venne cambiato nell’ancora oggi noto AeroportoPagliano e Gori.

 

Per approfondire ti consiglio di leggere:

  • G. Zorzit, D. Antonini (a cura di), I campi d’aviazione della brughiera pordenonese, Il Noncello, Pordenone, 1970.
  • F. Gubian, “Alla Comina preparò il Volo su Vienna”, in “Eventi. Periodico di cultura, storia, politica, attualità” settembre 2002, anno 7, n.2, pp. 51-55

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