Questo articolo è stato scritto da Tiziano Milan e Giulio Pellis, in modo da avere una pluralità di vedute e arricchire il resoconto dell’evento con l’aggiunta di informazioni personali sul tema. 

Il processo di integrazione europea non è mai stato così rilevante nel dibattito pubblico come negli ultimi anni. Complice la crisi economica ed altre vicende (ad esempio i flussi migratori) in cui si chiede l’aiuto o si colpevolizza l’Unione, è giusto fare una riflessione su come è stato gestito questo processo di integrazione internazionale unico al mondo.
A parlarne a Pordenonelegge vi sono tre diversi protagonisti del mondo del diritto: Ludovico Mazzarolli, professore di diritto costituzionale a Udine, Giuseppe Campeis, avvocato civilista e il giudice Arrigo De Pauli.

La riflessione vuole essere un momento di discussione-divulgazione sui modi con cui il diritto dell’Unione Europea e quello derivante dalla CEDU si integrano con il diritto nazionale italiano.
Sull’Unione Europea i non addetti ai lavori qualche conoscenza di base ce l’hanno, è importante tuttavia sottolineare che l’UE ha una sua Corte di Giustizia, con sede a Lussemburgo, che giudica nelle materie di competenza dell’Unione e che viene adita dai tribunali nazionali degli Stati Membri per interpretare correttamente il diritto comunitario. Infatti esiste il cosiddetto principio del “primato comunitario”: il giudice nazionale, quando deve decidere, è tenuto a disapplicare una norma interna se contrasta con quella europea e ad applicare quest’ultima al caso concreto.
La CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) è invece un accordo internazionale a cui aderiscono 47 Stati, completamente indipendente dall’Unione Europea e riguarda solamente i diritti dell’uomo e le sue libertà fondamentali. La sua particolarità è che questo trattato istituisce un meccanismo di controllo giurisdizionale, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo. Questo tribunale giudica il rispetto della convenzione CEDU e vi si può ricorrere solamente dopo aver provato tutti i gradi di giudizio interni allo Stato. Le sue sentenze hanno numerosi poteri: possono ridurre delle pene, sospenderle, modificare una norma (anche costituzionale) di uno Stato che contrasti con la CEDU e via discorrendo.

Fatto questo quadro, si passa a vedere come interagisce il diritto dell’UE con quello italiano. La “finestra” da cui sono entrate le norme comunitarie è l’art.11 della Costituzione, che consente le limitazioni di sovranità. È bene precisare che il diritto dell’Unione non è però di rango superiore a quello interno, bensì ha una competenza specifica in alcune materie, ad esempio il mercato comune, la concorrenza, l’unione doganale, l’agricoltura, la politica monetaria ed altre. In queste materie a prendere le decisioni sono le istituzione europee come il Parlamento, il Consiglio, la Commissione e la Corte di Giustizia. Si tratta infatti come ha ricordato Mazzarolli dellex primo pilastro, quella che una volta si chiamava Comunità Europea. Accanto a questo ce ne sono altri due: la Politica Estera comune e la Cooperazione in materia di giustizia penale. Quest’ultimo ambito è stato formalmente comunitarizzato, anche se di fatto non completamente, mentre la PESC rimane e lo si vede bene in questi giorni soggetta alle decisioni prese allunanimità dai governi nazionali.

Quali sono dunque le prospettive per gli operatori del diritto? Secondo il giudice Pauli è necessaria un’enorme preparazione e aggiornamento perché la situazione è ormai diventata molto caotica, anche dopo la (assai criticata) riforma costituzionale del 2001. L’avvocato Campeis però nota come questo scenario sia estremamente fertile per alcune innovazioni giuridiche in molti settori, grazie appunto alle possibilità di ricorrere alle fonti comunitarie ed internazionali.

Non mancano però problemi, anche di enorme importanza, quando un organo sovranazionale (comunitario o della CEDU) impone una modifica delle nostre norme. Si sono citati infatti i casi della disposizione transitoria contro i Savoia, eliminata anticipando una sentenza di Strasburgo, o il recente caso della Corte di Giustizia UE che chiede una modifica della norma penale sulla prescrizione per arrivare a una sentenza utile in materia di frode comunitaria.
A questa invasività (giustificata dagli articoli 11 e 117 della Costituzione) c’è il limite del rispetto degli stessi principi fondamentali della Carta Costituzionale, i quali non possono venire toccati da un ordinamento sovranazionale; pena la dichiarazione di illegittimità della legge di ratifica del trattato.

Tiziano Milan

 

Lo sviluppo del processo di unificazione europea è uno dei più importanti fenomeni degli ultimi decenni. Come stabilito dal Trattato di Maastricht del 1992, cioè il trattato con cui nasce l’Unione Europea moderna, questo processo si doveva basare su tre pilastri: unificazione economica, politica estera comune (PESC), e armonizzazione dei sistemi giuridici. Nessuno dei tre obbiettivi per ora è raggiunto e l’impressione è che sia un’impresa ormai molto complicata, e il settore in cui si registrano i problemi maggiori è quello dell’uniformazione giuridica. La grande domanda è: ma è costituzionalmente giusto che le sentenze di due corti sovranazionali abbiano valore di legge costituzionale, in barba alla legislazione interna dei singoli stati?

Ne hanno parlato, presso il palazzo della Camera di Commercio di Pordenone, tre giuristi di peso praticanti ognuno un diverso mestiere nel mondo giuridico: Ludovico Mazzarolli, professore di diritto costituzionale all’Università di Udine; Arrigo de Pauli, magistrato, presidente dei tribunali di Gorizia e Trieste; e Giuseppe Campeis, avvocato praticante a Trieste. De Pauli e Campeis hanno scritto un libro, Carte e corti Europee, in cui vengono analizzati, con supporto di casi specifici, il ruolo delle due grandi corti sovranazionali in Europa: La Corte di Giustizia UE, con sede in Lussemburgo, che è un organo proprio dell’UE, e la Corte Europea dei Diritti Umani, con sede a Strasburgo, che non è interna all’Unione ma è l’organo della Convenzione Europea dei Diritti Umani (CEDU), a cui aderiscono solo alcuni paesi dell’UE.

Mazzarolli comincia giustamente spiegando da dove arrivano questi problemi, almeno per l’Italia: «fino a qualche anno fa esisteva solo l’articolo 11, dove si diceva che l’Italia poteva limitare parti della propria sovranità per assicurare la pace e cooperazione internazionale a parità di altri paesi»; con la riforma del 2001 si è aggiunto un altro articolo, il 117 comma 1 : «con questo articolo le competenze delle regioni e dello stato sono equiparate. Questo sta alla base di una confusione interna molto grave, dato che cessioni possono essere effettuate anche dalle regioni, e che le corti possono agire anche direttamente verso esse.» Mazzarolli parla poi del Trattato di Lisbona: esso nasce sulle ceneri della fallita Costituzione dell’Unione Europea, firmata nel 2004 ma poi abortita dopo i “no” ricevuti nei referendum confermativi svoltesi in Francia e Olanda nel 2005; fra le critiche più frequenti rivolte alla costituzione europea, c’era quella che fosse eccessivamente sbilanciata verso il mercato, e quindi che favorisse di più grosse corporation, settore finanziario e lobby piuttosto che i cittadini e gli stati. Il trattato di Lisbona, realizzato nel 2007 e in vigore dal 2009, riprende quasi la totalità dei contenuti della vecchia costituzione, solo che invece di un unico trattato organico si tratta di una serie di emendamenti ai trattati TUE (Trattato sull’Unione Europea, già trattato di Roma, 1957) e TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, noto come Trattato di Maastricht, 1992) e anche al Trattato di Nizza del 2003, per un totale di 293 pagine di emendamenti spesso disconnessi tra di loro e da piazzare in altre 2800 pagine di leggi europee: un labirinto incomprensibile anche per molti giuristi, figuriamoci per gli elettori comuni. Fra le varie cose contestate, ci sta proprio il ruolo e i poteri della corte di giustizia europea: Infatti, secondo le regole già spiegate in precedenza, anche qui le decisioni della Corte hanno potere sovranazionale e dunque saranno più forti di qualsiasi legge degli Stati membri. Esse poi hanno potere di condizionare ogni singola legge esistente nella UE. La corte ha poteri in quasi ogni campo, persino di influenzare la tassazione indiretta (IVA, catasto, bolli ecc.). Soprattutto, ciò che viene deliberato in seno alla Corte di Giustizia Europea avrà precedenza su quanto deliberato dalle nostre Corti Supreme, Cassazione, e da altre Corti europee. E in tutto questo, i giudici sono nominati dai governi, e seguono le regole decise da burocrati non eletti.

Viene poi spiegato come funziona invece la Corte CEDU: essa non è organo dell’UE e non vale per tutti gli stati dell’Unione, e il valore delle sentenze è meno vincolante, però possono comunque sorgere dei contrasti: essa infatti può sospendere pena e processo di chi ad essa si rivolge; incide sugli anni della pena; e soprattutto, quando il diritto interno non è normato secondo la sentenza, esso lo modifica.

Da qui ripartono gli autori del libro per spiegare le ragioni e la misura in cui contestano tali disposizioni. Di Pauli descrive tutta la legislazione europea come «caotica, disconnessa» ed esageratamente decentrata:

«è impossibile imporre il rispetto totale di qualunque trattato, e pretendere di snaturare la costituzione e il diritto interno per ordine di corti esterne».

Il magistrato fa anche notare come il fatto di dare a singole sentenze un valore di legge più importanti delle leggi nazionali ricordi più il modello giuridico anglosassone, dove le sentenze fanno legge, e inoltre afferma che il proliferare di diritti soggettivi, diversi e secondari rispetto a quelli universali riconosciuti anche dalla nostra costituzione, generi ancora più caos, oltre a far perdere di vista i veri diritti, quelli economici e sociali, di cui dovrebbe preoccuparsi una vera Unione Europea: «chi decide in Europa sta perdendo la Trebisonda!» Campeis invece parla della teoria dei controlimiti. Creata proprio dalla Corte costituzionale italiana, e ripresa anche da quella tedesca, questa teoria afferma che le norme comunitarie non possono violare i principi fondamentali ed i diritti inviolabili sanciti dalle costituzioni nazionali; è affidato alle Corti costituzionali il compito di assicurare il rispetto, da parte degli atti delle istituzioni comunitarie, dei principi fondamentali e dei diritti fondamentali, come interpretati negli ordinamenti nazionali. È questo uno strumento utilizzabile contro le sentenze di ambo le corti, anche se effettivamente molti giuristi giudicano tale teoria sbagliata o inadeguata.

Terminata la parte di descrizione delle problematiche relative a questi nuovi ordinamenti giuridici sovranazionali, il professor Mazzarolli pone una domanda più concreta ai due autori: che cambiamenti ha portato tutto questo nei loro mestieri? «Per il giudice è tutto molto più complicato, bisogna fare attenzione a parecchi codici spesso con contenuti contrastanti tra loro; è evidente che si va verso uno sviluppo anomalo e rivoluzionario del nostro diritto» afferma Di Pauli; «Per l’avvocato sulla carta non cambierebbe niente, tuttavia la molteplicità delle fonti e la possibilità di poter avere ancora più gradi di giudizio rispetto al passato rende molti felici, avendo più possibilità di giocarsi le proprie carte nei processi» spiega invece Campeis. Si parte poi con le domande del pubblico: qualcuno chiede se non è il caso di fare il grande passo e accelerare il processo di creazione di un unico stato europeo; Mazzairolli smonta il discorso senza mezzi termini: «se c’è tutto questo caos, e se nessuno dei tre pilastri è stato portato a termine con risultati soddisfacenti, è proprio perché si è spinto troppo e troppo presto, servirebbe più moderazione e criterio da parte ei governanti europei, specie in un campo così delicato come quello del diritto». «Le vicende di questi giorni riguardo alla gestione dei flussi migratori,» continua Mazzarolli, «senza entrare nel merito delle scelte fatte dai governi nazionali e di quelle che verranno prese a livello comunitario, dimostra senza dubbi che per ora ogni possibilità di unificazione totale degli stati europei è solo una pura illusione». E riguardo al contrasto tra diritto comunitario e nazionale, e corti europee e corti costituzionali, il professore conclude sdrammatizzando:

«Alla fine, è probabile che si arriverà ad una situazione di accordo e “leale collaborazione”».

 

Giulio Pellis

 

 

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