Una denuncia anonima perviene al Sant’Uffizio di Udine durante i primi mesi del 1583. L’accusato è Toffolo di Buri, cioè da Buttrio, pastore dimorante a Pieris, paese al di là dell’Isonzo ma all’epoca subordinato alla giurisdizione spirituale della diocesi di Aquileia. Il delatore, probabilmente un abitante dello stesso villaggio, viene protetto dall’anonimato forse per la paura di eventuali ritorsioni. Dalla documentazione processuale emerge un dato rilevante: il denunciante conosceva molto bene le attività da benandante dell’«armentaro», altrimenti non avrebbe mai potuto descrivere in modo così particolareggiato i presunti viaggi extracorporei di Toffolo.

Quest’ultimo viene così descritto: «afferma di essere benandante, et che per ispatio d’anni ventotto in circa è necessitato di andare ogni quattro tempora in compagnia d’altri benandanti a combattere contra li strigoni et streghe (lasciando il corpo sul letto), in ispirito, ma vestito di quelli istessi habiti che suole portare di giorno».

Sulla base della testimonianza raccolta i rappresentanti del Sant’Uffizio di Udine vedono in lui un eretico da interrogare e in caso giudicare. Dopo aver esaminato la denuncia, si riuniscono il 18 marzo 1583, inviando al podestà veneto di Monfalcone la richiesta di arresto e di invio a Udine dell’imputato. Nonostante l’incarcerazione del benandante fosse avvenuta, il podestà non spedisce il Toffolo a Udine, in quanto mancava la scorta per l’operazione. Dopo aver atteso invano l’invio di uomini da parte del Sant’Uffizio o del patriarca, il podestà di Monfalcone libera l’imputato.

Nel frattempo sul caso Toffolo di Buri cala il silenzio, finché tre anni dopo, nel novembre 1586, l’inquisitore di Monfalcone si imbatte sui documenti processuali del 1583 e decide di recarsi a Monfalcone, per investigare più a fondo. Dopo aver inoltrato la citazione in giudizio di fronte al Sant’Uffizio, a cui non riceverà alcuna risposta, l’inquisitore invia un suo notaio a Pieris, dove si scopre che Toffolo si era ormai dileguato dal villaggio da molto tempo.

Per sua fortuna l’imputato non era stato né interrogato, né giudicato dagli inquisitori. Ma allora perché costoro lo avrebbero voluto inquisire? In qualità di benandante faceva parte di una delle undici categorie di inquisiti, in quanto il suo culto divergeva dall’ortodossia religiosa e perciò era oggetto d’indagine da parte dei giudici della fede. Dai processi inquisitoriali della seconda metà del Cinquecento affiorano le prime figure di benandanti, di cui ne è parte il nostro personaggio.

La credenza popolare dell’epoca associava la figura dei benandanti o “buoni camminatori” a quella dei “controstregoni”, costoro sarebbero vissuti in piccole congreghe nel Friuli, e in altre zone del nord-est italiano, tra il XVI e il XVII secolo. Potevano farne parte sia gli uomini che le donne in quanto dotati di facoltà extrasensoriali, messe a servizio di Dio, nell’eterna lotta tra bene e male, e della comunità con l’obiettivo precipuo di proteggere la fertilità e i raccolti dei campi. Inoltre all’epoca si pensava che i benandanti combattessero, in scontri notturni, le streghe e gli stregoni riuniti nei sabba, avessero la facoltà di interagire con i morti per offrire utili consigli ai vivi e infine possedessero dei poteri adatti a eliminare le fatture delle streghe.

A seguito della massiccia attività punitiva e normatrice degli inquisitori, soprattutto nella metà del XVII secolo, i benandanti non sembrano più degli “stregoni buoni”, legati ad un culto pagano-sciamanico contadino, d’ origine germanico-slava, fondato sulla fertilità, ma delle figure coincidenti con quelle degli stregoni, adoranti il diavolo al sabba.  Del vecchio mito restavano solamente alcune caratteristiche iniziali, come la nascita con la “camisuta” per alcuni fortunati, cioè la nascita del neonato all’interno del sacco amniotico o con parto podalico, e l’uscita di notte dal proprio corpo, durante le notti di Quattro tempora, per combattere contro le streghe.

La figura del pastore Toffolo ben si confà all’identikit del benandante, non a caso la sua professione si collega al servizio reso alle comunità da parte dei benandanti. Infatti dal Processo Toffolo di Buri emergono alcune caratteristiche degli “stregoni buoni”, come la credenza diffusa tra i contadini d’età moderna «che quando i benandanti sono vittoriosi [nella battaglia contro le streghe e gli stregoni], in quell’anno è abbondanza, et quando gli avversari vincono, regnano tempeste et perciò si cagiona la carestia in quell’anno».

 

Letture consigliate:

Luigi Gervaso, Chiesa e società nel monfalconese in età moderna, in Independent.academia.edu, pp. 172-175, http://independent.academia.edu/luigigervaso.

Carlo Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino, Einaudi, 1966.

Franco Nardon, Benandanti e inquisizione nel Friuli del Seicento, Trieste, Edizioni Università di Trieste, 1999.

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