Andrea di Pietro della Góndola, nato a Padova nel 1508, fu un artista di notevole successo. Intraprese la sua formazione artistico-culturale lavorando inizialmente a Vicenza in veste di manovale ma l’avvicinamento alla dimensione umanistica si manifestò solo dopo aver conosciuto il letterato Gian Giorgio Trìssino (1478-1550) che, durante un viaggio a Roma, soprannominò l’amico Pallàdio (ovvero sacro a Pàllade, dea della Sapienza), com’era abitudine nei circoli letterari di allora. Sarà proprio presso Roma che il Pallàdio avrà modo di studiare e analizzare le architetture di Bramante, di Raffaello e di Michelangelo in proiezione ortogonale.

Scrisse dunque un trattato intitolato I quattro libri dell’architettura, pubblicato a Venezia nel 1570. A partire dal 1561, portò notevoli contributi anche al rinnovamento urbano di Venezia, città nella quale si trasferì nel 1570 quando assunse la prestigiosa carica di proto (architetto ufficiale).

Morì nel 1580 forse a Vicenza: in mancanza di documenti, non abbiamo certezze circa il luogo in cui Andrea Palladio morì, probabilmente a Vicenza, ove fu immediatamente sepolto, o forse a Venezia, dove negli ultimi tempi risiedeva con maggior frequenza o forse, ancora, a Masèr (Treviso), dove stava lavorando quando improvvisamente si spense.

Fra le più note realizzazioni di Palladio si collocano le numerose ville da lui progettate in forte rapporto con il territorio circostante.

Del resto, l’ “abitare in villa” era un modo di vivere tipico dei ceti patrizi e borghesi della Repubblica di Venezia dell’epoca: tali ceti non consideravano infatti la residenza di campagna come un esclusivo luogo di svago e delizie (come avveniva in Toscana, exempli gratia) ma anche come unità produttiva: è per questo motivo che in Veneto, proprio accanto alle strutture abitative vere e proprie, si trovavano anche fabbricati a uso agricolo necessari per la conduzione delle terre.

Lo sperimentalismo architettonico palladiano, dopo numerose trasformazioni, si stabilizzò in una forma che diverrà tipica e di successo: la pianta è solitamente di forma quadrata o rettangolare con la presenza di uno o più loggiati; il salone centrale (a sua volta quadrato, rettangolare o cruciforme) si configura come l’ambiente principale dell’edificio attorno a cui si dispongono simmetricamente le scale e tutti gli altri ambienti abitativi.

Villa Barbaro-Volpi a Masèr (Treviso) risale agli anni cinquanta del Cinquecento. Venne commissionata a Palladio dai fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro.

Lo spazio residenziale, ottenuto inglobando e trasformando la vecchia villa padronale, è costituito dal corpo centrale avanzato; la facciata di tale porzione è trattata a bugnato dolce, ma grazie all’impiego di un ordine ionico gigante e la solenne terminazione a timpano, assume l’aspetto del fronte di un tempio tetrastilo; la trabeazione è spezzata, quasi a voler riprendere l’opera dell’Alberti nella Chiesa di San Sebastiano a Mantova, e costituisce un riferimento dotto dall’Antico (per esempio dal Tempietto del Clitumno, allora ritenuto antico) mentre gli stucchi vistosi del frontone si devono alla sovrintendenza di Paolo Veronese (1528-1588).

I volumi porticati laterali – le cui ali sul retro delimitano i margini del giardino concluso da un ninfeo ad esedra – costituiscono le cosiddette barchesse, cioè gli ambienti a servizio della villa padronale e delle sue attività produttive.

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