2 aprile 2011: Ai WeiWei viene arrestato dalla polizia di Pechino presso l’aeroporto: è in partenza per Hong Kong.

Così si apre la triste vicenda di quest’uomo, nato il 28 agosto 1957, artista, designer e attivista cinese.

Ai WeiWei, figlio del poeta Ai Qing, si diplomò all’Accademia del Cinema, ma da subito si dedicò alla pittura e all’arte in genere. Trasferitosi a New York per alcuni anni, frequentò due prestigiose scuole, fondamentali per la sua formazione: dapprima la Parsons The New School For Design e in seguito la Art Students League.

Solo nel 1993 ritornò in Cina per assistere il padre malato; durante questo periodo collaborò alla fondazione della East Village di Pechino, una comunità di artisti d’avanguardia.

Fu proprio il suo operato in qualità di attivista ad assicurargli pochi anni più tardi la detenzione: nel 2009 il suo blog venne chiuso dalle autorità statali: la sua opposizione al regime cinese, espressa mediante forme artistiche provocatorie e testi in prosa dal carattere critico, gli costò 81 giorni di reclusione, dal 2 aprile al 22 giugno 2011.

Durante il periodo di detenzione, molti tra i principali musei d’arte al mondo (tra cui il Tate Modern di Londra) lanciarono una petizione online i cui scopi erano: 1) esprimere preoccupazione nel vedere minacciati i diritti e la libertà di espressione in Cina; 2) auspicare la liberazione dell’artista.

La questione sta nel riflettere su alcuni aspetti: quanto, in qualità di individui, possiamo ritenerci liberi nel sistema economico-politico-culturale attuale? Quanto siamo condizionati da convenzioni sociali di ogni genere, imposteci dai mass-media, o da una radicale forma di pensiero, sviluppatasi nel corso degli anni e radicatasi così fervidamente nel tessuto sociale, tale da divenire uno degli aspetti maggiormente presi in considerazione nell’analisi antropologica delle società?

Una delle possibili risposte ci viene fornita proprio dall’opera di Ai WeiWei: la sua arte fu reinterpretazione, rielaborazione di quanto accadeva e accade tuttora nella cultura contemporanea e nell’arena sociale e politica.

Le accuse di reato economico che lo riguardarono furono, con grande probabilità, solo propaganda, un mero pretesto utilizzato dal governo cinese per mettere a tacere i dissidenti della “rivoluzione dei gelsomini” cinese.

Ai Wei Wei, nel periodo di detenzione, produsse forti lavori: da queste opere si percepirono difficoltà e pericolo, scaturiti dal desiderio di maggior libertà; e forse, proprio in tutto ciò consistette la fama di questo straordinario artista, nella semplice responsabilità di dare corpo ad uno dei diritti fondamentali dell’uomo: la libertà di parola.

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